L'Iran canta vittoria in Siria e le Nazioni Unite contano sempre meno
Nell’intervista con il capo militare di Ahrar al Sham – qui sopra – ci sono almeno due punti che colpiscono perché sono identici a due articoli apparsi (negli stessi giorni) sulla stampa occidentale. Il primo è che l’Iran considera la Siria come il fronte di una guerra che sta combattendo come se fosse una questione esistenziale, mentre l’occidente ha preferito ripararsi dietro una linea “la cosa non ci tange, non ci saranno conseguenze”.
Nell’intervista con il capo militare di Ahrar al Sham – qui sopra – ci sono almeno due punti che colpiscono perché sono identici a due articoli apparsi (negli stessi giorni) sulla stampa occidentale. Il primo è che l’Iran considera la Siria come il fronte di una guerra che sta combattendo come se fosse una questione esistenziale, mentre l’occidente ha preferito ripararsi dietro una linea “la cosa non ci tange, non ci saranno conseguenze”. Legittima o no, questa differenza di dottrina sulla guerra che sta paralizzando il medio oriente avrà inevitabilmente conseguenze. Intanto, lunedì 12 maggio sul Guardian c’era un pezzo di Simon Tisdall da Teheran che raccontava come gli esperti iraniani stanno già festeggiando (prematuramente) la vittoria dell’Iran e di Assad contro l’opposizione siriana sostenuta in parte dagli Stati Uniti. “Abbiamo vinto”, dice Alaeddin Boroujerdi, capo della commissione per la Sicurezza nazionale del Parlamento iraniano. “Il regime starà al suo posto. Gli Stati Uniti hanno perso”.
Anche Amir Mohebbian, un esperto di strategia e consigliere del governo, dice al Guardian che “in Siria abbiamo vinto il gioco facilmente. Gli Stati Uniti non capiscono la Siria. Gli americani volevano rimpiazzare Assad, ma con quale alternativa? Tutto quello che hanno fatto è incoraggiare i gruppi radicali e rendere le frontiere meno sicure”.
Majid Takht-Ravanchi, viceministro iraniano degli Esteri, dice che ora la priorità numero uno è accettare che la rivoluzione ha fallito e ripristinare la stabilità in Siria prima delle elezioni presidenziali del mese prossimo.
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Gli iraniani hanno un motivo propagandistico per questo insistere sulla vittoria – che non è reale, Assad non può entrare in aree controllate dai ribelli a quindici chilometri da Damasco, e in altre parti del paese i suoi soldati muoiono a decine ogni giorno. Però è vero che l’Iran sta combattendo contro i ribelli come se fosse una questione fatidica di sicurezza nazionale.
Il secondo punto è che sulla Siria il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite si sta rivelando ancora più incerto e impotente che nel passato, come segnala un articolo dell’8 maggio del New York Times. “Già prima il Consiglio era considerato ‘toothless’, senza denti, per colpa del diritto di ciascuno dei cinque membri permanenti di bloccare ogni provvedimento con un veto. Ma la paralisi sulla Siria ha raggiunto un nuovo livello di disfunzionalità, dicono gli esperti, e danno combustibile a chi chiede di cambiare totalmente le regole che governano il Consiglio di sicurezza”, dice l’articolo del New York Times. “Siamo tornati ai giorni più bui del Consiglio di sicurezza dai giorni della Guerra fredda”, dice Jan Egeland, che ha lavorato nel coordinamento umanitario delle Nazioni Unite. L’anno scorso il Consiglio ha parlato di Siria in 33 sedute, e dall’inizio di quest’anno altre 18. L’effetto pratico di queste discussioni è stato nullo, persino per risolvere casi chiari come la consegna di aiuti umanitari.
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