Leggere Civati e capire la fine che rischia di fare il Pd che insegue Grillo

Claudio Cerasa

A pochi giorni dalle europee, e poche ore dopo la barbarica scelta del Pd di chiedere il voto palese alla Camera sull’arresto del deputato Francantonio Genovese e di inseguire il Movimento 5 stelle sul terreno dell’antipolitica chiodata, la chiave di lettura per comprendere l’evoluzione del Partito democratico di Matteo Renzi si nasconde all’interno di una domanda: il Pd può diventare grande senza diventare come Grillo? O meglio ancora: il Pd, per diventare grande, siamo sicuri che abbia bisogno di inseguire il grillismo, scendere a compromessi con l’antipolitica e lasciare le impronte digitali sui pulsanti che azionano le ventole del populismo? Nel centrosinistra, da mesi, ci sono due scuole di pensiero.

    A pochi giorni dalle europee, e poche ore dopo la barbarica scelta del Pd di chiedere il voto palese alla Camera sull’arresto del deputato Francantonio Genovese e di inseguire il Movimento 5 stelle sul terreno dell’antipolitica chiodata, la chiave di lettura per comprendere l’evoluzione del Partito democratico di Matteo Renzi si nasconde all’interno di una domanda: il Pd può diventare grande senza diventare come Grillo? O meglio ancora: il Pd, per diventare grande, siamo sicuri che abbia bisogno di inseguire il grillismo, scendere a compromessi con l’antipolitica e lasciare le impronte digitali sui pulsanti che azionano le ventole del populismo? Nel centrosinistra, da mesi, ci sono due scuole di pensiero. La prima, teoricamente, è quella rappresentata da Renzi (linea drammaticamente smentita con il caso Genovese) ed è una linea che potremmo sintetizzare così: il Pd deve smetterla di ragionare con la logica del nessun nemico a sinistra e deve conquistare gli elettori più di centro trattino sinistra che di sinistra e basta. La seconda linea è quella che prevede una formula diversa: la sinistra che prova a inseguire gli elettori di centro corre il rischio di essere percepita come una nuova destra, e se si vogliono vincere le elezioni bisogna puntare a rimettere insieme il campo delle sinistre e a spostare il baricentro più verso la politica a cinque stelle che verso la politica centrista. Se sono queste le grandi categorie dello spirito democratico, l’unica opposizione e forse l’unica vera alternativa alla leadership di Renzi oggi si chiama Pippo Civati. E sfogliare le 142 pagine del saggio civatiano uscito per Einaudi (“Qualcuno ci giudicherà. La sfida per il cambiamento dell’Italia”) può essere un esercizio utile per capire quali sono i punti della proposta dell’ex candidato alle primarie Pd. La tesi di Civati – e più in generale della sinistra che oggi non si riconosce in Renzi – è che la vera vocazione maggioritaria del Partito democratico non può avere come obiettivo primario quello di trasformare il Pd in una nuova Udc, in una nuova Dc, in una nuova Balena bianca, ma è quella di andare a prosciugare l’elettorato di Grillo – l’unico dal quale vale la pena di pescare, perché pescare dall’elettorato del centrodestra significherebbe andare sul terreno del centrodestra e andare sul terreno del centrodestra significherebbe semplicemente non essere più sinistra – e di rivolgersi al mondo del Cinque stelle con una logica simile a quella utilizzata da Massimo D’Alema alla fine degli anni Novanta con l’universo della Lega: in chiave costola della sinistra. All’interno di questo schema la tesi civatiana, che ha naturalmente una sua logica, prevede un corollario che ha un riflesso all’interno di questa legislatura.

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    Un riflesso che suona come un appello disperato: Matteo, ti prego, molla questi cialtroni dei tuoi alleati del centrodestra, apri il governo ai transfughi del 5 stelle, governa con me e con loro, scegli con me e con loro il prossimo presidente della Repubblica, e così facendo, vedrai, potrai andare alle elezioni con la coscienza pulita. Civati spiega bene nel suo libro quale può essere l’alternativa al Pd a vocazione alfaniana, per così dire. Ma l’analisi del deputato dem presenta alcuni punti di debolezza iscritti nella storia della sinistra. E non affronta come sarebbe lecito aspettarsi quella che appare una delle grandi ragioni della galoppata elettorale del Cinque stelle. Si potrebbe obiettare a Civati che, negli anni in cui le sinistre non riescono in nessuna parte del mondo a raggiungere grandi traguardi, le uniche forze progressiste che hanno ottenuto risultati decenti (avete mai sentito il nome “Barack Obama?”) sono quelle che hanno rottamato la politica del “Pas d’ennemis à gauche” e che hanno capito che inseguire la sinistra benecomunista devota tanto al Teatro Valle quanto a Rodotà è un modo come un altro per consegnarsi a Grillo: se vuoi fare il populista, il democratico a cinque stelle, non si capisce perché tra un Grillo vero e un Grillo finto l’elettore dovrebbe scegliere il Grillo finto (in Francia lo ha capito anche il compagno Hollande). Il secondo punto da contestare alla tesi Civati – tesi che per quanto discutibile resta l’unica opzione alternativa rispetto a quella di Renzi, a meno che le voci che danno Nicola Zingaretti pronto a scaldarsi a bordo campo siano vere – è che nel Pd dovrebbe essere chiaro che avvicinarsi a Grillo, inseguirlo sui suoi temi, tende a indebolire e non a rafforzare il Pd. Passi l’ormai inevitabile inchino che ogni leader deve offrire a sua-maestà-la-politica-anti-casta. Ma non emanciparsi dal grillismo rischia di essere un modo per sabotare l’idea originaria del Pd e trasformare il Partito in una costola del 5 stelle. Stefano Rodotà sarebbe eccitato da questa prospettiva. Ma la maggioranza del paese, come succede quando la sinistra si allontana dalla parola riformismo e si avvicina alla parola populismo, di fronte a questo scenario farebbe con ogni probabilità la stessa scelta e condannerebbe il Pd al solito ruolo della sinistra: una sinistra gioiosamente minoritaria ed eternamente perdente. Ne vale la pena?

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.