Madamine in fiore

Pietrangelo Buttafuoco

Tutti i numeri uno dell’Anno uno – è quello dell’ER (Era Renziana) – sono delle “signorine Uno”. Certo, c’è anche “Anno Uno”, la trasmissione di Giulia Innocenzi e poiché tutto torna – nei dettagli e nell’epifania nominalistica, tutto torna – la prima delle signorine Uno è lei. Giulia Innocenzi, tutta acqua e sapone e lesta di linguaggio, generata nel vapoforno di Michele Santoro, icona riuscita di quel che un tempo fu solo un microfono sul citofono, ha superato il maestro ma ha fatto sì che nel paragone con lei, una Maria De Filippi, il suo più immediato modello – altro che Christiane Amanpour – è diventata non più solita stronza, già brillante promessa, ma venerata maestra.

    Tutti i numeri uno dell’Anno uno – è quello dell’ER (Era Renziana) – sono delle “signorine Uno”. Certo, c’è anche “Anno Uno”, la trasmissione di Giulia Innocenzi e poiché tutto torna – nei dettagli e nell’epifania nominalistica, tutto torna – la prima delle signorine Uno è lei.

    Giulia Innocenzi, tutta acqua e sapone e lesta di linguaggio, generata nel vapoforno di Michele Santoro, icona riuscita di quel che un tempo fu solo un microfono sul citofono, ha superato il maestro ma ha fatto sì che nel paragone con lei, una Maria De Filippi, il suo più immediato modello – altro che Christiane Amanpour – è diventata non più solita stronza, già brillante promessa, ma venerata maestra. E tale è, ormai, la diva di “Amici” rispetto alla formidabile Innocenzi: è soltanto una venerata maestra. Come da archetipo imposto da Alberto Arbasino.

    Certo, Innocenzi è padrona di un canone minchiataro. Il suo è solo un precetto zuppo di luoghi comuni. Fa perfino più tendenza del suo uomo, l’immaginifico e grandioso Pif, de “Il Testimone”. Giulia Innocenzi è però così azzeccata nel target ZeitGeist de La7 che con quel suo statuto, anche a dover precipitare negli ascolti – tra quelle da tenere d’occhio e che sono già qualcuno – lei resterà stella.

    Le “signorine Uno dell’Anno uno” – le Madamine del nuovo potere – in uno scambio di genere, poi, corrispondono al grado primo del paradigma arbasiniano. E poiché là dove c’era una Benedetta Tobagi, a sinistra della sinisteritas, adesso c’è perfino Lidia Undiemi, giacché dove c’era una Luisella Costamagna, in staffetta di telegenia con Marco Travaglio, adesso c’è Francesca Fagnani, nel cambio scena – nella contraddanza di un altro giro e di un’altra corsa – c’è qualcosa di più di un gioco di società: uno scatto antropologico. E nell’impossessarsi del primo stadio, Madamine appunto, consegna le altre ai due gradi corrispondenti a soliti stronzi e venerati maestri e cioè le Streghe e le Care Zie.

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    Care Zie, quindi, diventano le Tobagi e le Costamagna, mentre Madamine, assise nel trionfo mediatico, sono Lidia Undiemi, il cui blog di economia è un miracoloso pretesto per vederla inaspettata ospite nel salotto di “Ballarò”, e Francesca Fagnani che col suo lavoro di reporter – giusto in terra santoriana – costringe anche Sandro Ruotolo a ritrovarsi nel ruolo di Cara Zia essendo quello di venerato maestro, il posto, occupato. Dal maestro, appunto.

    Tutte Care Zie, dunque. E così Serena Dandini, Daria Bignardi, Valeria Golino. Tutte riconosciute in virtù del punto di grigio azzurrino, tutte assise al Pincio del buono esempio nel frattempo che nuove maestrine, tutte Madamine, godono – già con il frale tamburellare di un blog, Undiemi docet – il fragore di blu dell’ER.

    Là dove c’era una Vladimir Luxuria, portabandiera degli antagonisti, adesso c’è Paola Bacchiddu; là dove c’era una Emma Bonino, mito dei Radicali, nonché riserva della repubblica, adesso c’è Annalisa Chirico; là dove c’era una Marta Dassù, trilateralista, studiosa di politica internazionale, adesso c’è Irene Tinagli. Ecco, restano posate nel limbo delle Care Zie, le Luxuria, le Bonino, le Dassù, mentre le Madamine – le signorine Uno – si prendono il meritato pezzo di potere. Là dove c’era una Paola Cortellesi, tutta sorriso, ora c’è Chiara Francini.

    Sia per tramite di scandalo. 1) un bel sedere di signora, quello della Bacchiddu, in luogo di un décolleté LGBT, nel dominio dell’ideologicamente corretto assicura uno choc più moderno.

    Sia per tramite di puttane. 2) quelle della Chirico: un passo avanti rispetto all’arrugginito laicismo dell’ex ministro degli Esteri.

    Sia per tramite di Giovanni Floris. 3) dove Tinagli, docente in quel di Madrid, argomentando con perizia e scienza, fosse pure nei tempi agili della tivù, prende possesso di temi altrimenti destinati alla polvere di ponderosi tomi.

    Sia per tramite di sfacciata bravura, infine. Chiara Francini, attrice degna della Commedia dell’Arte, entra in scena e già fa di Paola Cortellesi (che pure è bravissima), cara, carissima zia.

    Le Madamine non sono dei Bel Ami e neppure dei Forrest Gump del potere – come tali appaiono i maschi promettenti promesse, compulsivi dell’arraffo di ospitate tivù e happy blog – e il loro asserragliarsi nella stanza dei bottoni, perfino nello stadio puberale del loro ramificarsi, fosse pure per fare tutti da Nomfup il sabato sera, è già un dato politico. Il renzismo arriva che le trova già in assetto di approccio oggettivista.

    La genuina natura faustiana delle Madamine – tutte indaffarate, giammai precarie – genera la felicità del potere. Tutta paglietta estiva e tutta seta cruda. Non sono cortigiane e non sono regine al modo di una Marina Ripa di Meana. Il dato politico è anche un dato culturale: l’anticonformismo, la dannazione sudata della ribellione, è materia estranea alla satrapia delle signorine Uno, e se sanno scegliere l’uomo giusto – Matteo Renzi, su tutti – non lo fanno in conseguenza di un gancio sessuale, di un brio o di una stagione di carne ma per dare sostanza a ciò che solo un occhio superficiale può liquidare come rabdomanzia, quello che l’occhio da scandaglio riconosce come riuscita cospirazione gentile.

    E’ finita, insomma, l’epoca di Maria Angiolillo, buonanima. Non esiste più la cornice da vecchia zia, retaggio di un Novecento attardatosi nel berlusconismo, quello – per carità – antecedente l’attuale cerchio magico del trio Dudù-Pascale-Rossi. E c’è un abisso – forse si chiama “presentabilità sociale” – tra l’abitare il quartiere Parioli, a Roma, rispetto al più richiesto quartiere Monti. E’ il luogo dell’anima, quest’ultimo, di ragazze dall’aria intelligente, informata e facilmente irritabile rispetto alle interazioni richieste dall’ambiente. Sono donne di polso duro e carattere squadrato.

    Non è dato sapere se il passaggio da uno stadio all’altro del canone arbasiniano – pur nell’accezione al femminile di “Madamina”, “Strega”, “Cara Zia” – sia dovuto a naturale evoluzione o a selezione. Di certo è finito il tempo ideologico del corpo delle donne e se le Care Zie guadagnano ancora il dovuto prestigio, zie carissime, in un solo colpo, sono diventate Melania Mazzucco, Michela Murgia e anche Cristina Comencini con il suo “se non ora quando” perché tutta la scena, oggi – in tema di ultimi, di anatemi e mobilitazioni – è di Francesca Barra.

    Bionda, inesorabile, Barra sapientemente mitiga l’irruenza gruppettara del suo lavoro di giornalista e scrittrice cresciuta alla scuola di Luca Telese, con lo charme della tipa proprio bella. Certo, è sessista dare della bella a una donna bella ma lo stile di una ragazza si fa naturaliter leggenda e la Barra, il suo stile – un po’ Max Mara e un po’ pedagogia sociale – lo portò sul palco del concertone del Primo maggio facendo, in quell’affollarsi di zecche, cortocircuito semantico e testacoda affabulatorio.

    Tutto il prestigio è dovuto alle Care Zie. Una Lucia Annunziata, infatti, la cui tribuna lussuosa è la trasmissione “In mezz’ora”, su Rai3, trova, nella stessa rete, Mia Ceran che – pur nella sua condizione di semplice autrice di “Agorà” – è già più che Madamina, fuoriclasse del mestiere al punto che la sua agenda professionale è fatta di numeri tutti importantissimi essendo lei signorina Uno, e dunque ancora più importante degli ospiti che convoca in trasmissione ogni mattina. E che convocherà da conduttrice quanto prima, già questa estate. Con “Millennium”, la sua trasmissione. Sempre su Rai3.

    Ovviamente non c’è gara – in termini di apparecchiature – tra l’èra telefonica, quella telematica e quella digitale ma c’è uno scarto così forte tra le lady al tempo di Facebook e quelle del post Twitter da farci un’epica con aedi e rapsodi alle prese coi blog.

    Tutto, infatti, è nel flusso del bla contemporaneo. Le Care Zie – da Irene Ghergo a Lilli Gruber, da Barbara Palombelli a Milena Gabanelli, da Sabrina Ferilli a Barbara Spinelli – apparse nel pieno della modernità, in un certo senso sono dovute partire già dallo stadio di zia, non hanno attraversato le acidità adolescenziali del potere (se mai il potere ha un’adolescenza). Matriarche di un regno solido come sono – attrici, giornaliste, pensatrici, costruttrici dell’immaginario – hanno però dovuto sovvertire le leggi e le regole dell’epoca loro per prenderne la forma e la prestanza. E’ stata tutta una fatica dunque – quella delle Care Zie – che le Madamine, oggi, si sono risparmiate facendosi trovare già sedute nel flusso.

    Se gli anni Ottanta dello scorso millennio erano postmoderni, i tempi nuovi sono nell’ultra-flusso. Tutto è effuso e tutto è acculturato. Spiritosa è Francesca Gallerani, moglie e mamma, addetta stampa di Le Mani editore. Ha offerto la sua figura da bagnante alla causa Bacchiddu (la Gallerani era quella al mare, microcostume nero, di spalle sul bagnasciuga). Sensualissima, ha realizzato un video per YouTube (https://www.youtube.com/watch?v=I9WnBAX0G04) dal titolo “Scrivi di meno, leggi di più” ed è quel suo affacciarsi nel riquadro dell’iPad un atto politico contro cataplasmi ed ectoplasmi intellettuali realizzato in virtù di una parodia. Quella della intellettuala nel mondo degli intellettuali, va da sé.

    Le Madamine all’alba del potere non disdegnano dunque l’arte, la letteratura, il sentimento e se non è più il tempo delle Angiolillo si può ben dire che nell’Anno uno dell’ER (Era Renziana), col rasserenarsi delle Care Zie, tutte confinate nell’Olimpo dell’eterna gratitudine femminista o del dadaismo spontaneo (penso sempre alla Ghergo), torna un certo non so che. E’ finito, tra tutti gli altri tempi già belli che finiti, anche quello del “faccio cose e vedo gente”. E Teresa Ciabatti, scrittrice tagliente e politicamente non catalogabile, sovrabbonda in cinismo e su Io Donna, il proprio blog lo intitola con gran spolvero esistenziale del candore: “Persona cattiva”. Il libro più straziante, in cinismo e dolcezza, è stato “Il cielo è dei potenti”, di Alessandra Fiori. E’ il libro più politico e dunque più esistenzialista; nulla che possa far pensare a patetiche scene da novellistica aggrumata ai tinelli ingombri di forcine, cerchietti e yogurt, piuttosto colla, manifesti e sezioni e perciò la voce di Fiori, trasfigurata nella nemesi di questa Madamina dalla prodigiosa facoltà di mettere in scena ciò che ogni sentimento vagheggia: il potere. Comandare carne, mangiare carne, amare carne.

    Tutto è un passo avanti. Helga Marsala, firma di punta di Artribune, destina pure Philippe Daverio al pantheon delle Care Zie, a far compagnia a Ruotolo, mentre Veronica Gentili – giovane attrice (accademia Silvio D’Amico), blogger del Fatto (e dove, se no), elegante, sexy e con quel certo non so che – applaudita dal pubblico di “Piazzapulita” spiega al meglio la giovane Roma che cresce in importanza. L’Italia intera non se ne abbia a male, tutto è provincia se queste Madamine, poi, giusto su Roma vanno a spopolare.

    Roma è il teatro sontuoso delle Madamine. L’Auditorium, con i suoi riti pre DDR, lasciando in sottofondo il martellare caldo e avorio dei tasti di pianoforte, offre una pleiade di varia importanza. Il tutto nella stucchevole routine di successi mondani in cui i maschi (tutti brillanti promesse intellettuali) vanno all’arrembaggio, mentre le ragazze, invece, sono già oltre. Sono nel certo non so che, le fanciulle. E così Veronica Raimo, sorella di Christian, scrittrice di Minimum fax, sceneggiatrice di Marco Bellocchio. E così – con quel non so che – Gilda Policastro, critica letteraria, quasi evanescente nel suo cogliere tra i tralci delle muse. Oppure Anna Mallamo, la blogger di Manginobrioches, calabrese, molto sinistra e arrabbiatissima, dall’orientamento religioso “dionisiaco”, e dall’orientamento politico “matriarcato calabrese”. Oppure ancora Marta Perego – che, in vero, è proprio avvenente – è conduttrice di roba culturale (tipo il Salone del libro di Torino o i festival del cinema) a Class Life e Iris Mediaset. Quindi Cecilia Sala, troppo carina, troppo giovane e troppo moderna per capire davvero cosa faccia. Sta sempre però in zona scrittura, internet, comunicazione, macroeconomia, ma è di certo una promessa, anzi, una Madamina al primo grado nel processo di evoluzione e/o cooptazione verso i passaggi ulteriori di Strega e Cara Zia. Ed è, infatti, ad “Anno Uno”.

    Molte sono le Madamine – come la succitata Tinagli – tra le parlamentari. Magda Culotta (ex sindaco di Pollina, giovanissima), è certo che dimostrerà quel certo non so che nella sequela di Marianna Madia, della soave Maria Elena Boschi, di Ale Moretti… e se ovviamente sono quasi consustanziali del Pd, le parlamentari Madamine, una menzione a parte, non fosse altro per le tre lingue di cui è padrona senza incespicare mai, la merita Ylenia Citino, candidata di Forza Italia in queste europee. La ragazza è perseguitata ingiustamente per aver preso parte a una puntata di “Amici”, fra i tronisti. E’ funestata giusto adesso dai pregiudizi, adesso che “Anno Uno”, la trasmissione di Giulia Innocenzi, ne ha certificato la filiazione sdoganando col genere, anche un destino.

    Il certo non so che attraverso cui si certifica l’affiliazione allo stadio primo del paradigma, quello delle Madamine è, ancora una volta, l’eleganza di un approdo sociale. E’ quello suggellato da una legge non scritta ma evidente. Quella che stabilisce quanto segue. Quel che può il photoshop su Vanit Fair non si può dare altrove. Per quanto Alfonso Signorini sia un amico conclamato di Matteo Renzi, una Madamina mai e poi mai avrà da brigare per avere cover e interviste su Chi. L’effetto, a detta di tante Madamine da me interrogate, è cheap e gossipparo e solo la regola ormai in disuso della popolarità poteva illudere – giusto il millennio scorso, in età postmoderna – la gens bruta delle vongole nazionalpopolari, tutto quel rovinio di silicone, di perizoma e di push-up svaporato con la Seconda Repubblica, con il berlusconismo votato ormai a cani, gatti & dentiere.

    E’ Vanity Fair che traccia il solco. Ma è il photoshop che lo difende. Un po’ è così ma un po’ è la natura che le rende speciali, le Madamine. Solo le donne sanno davvero comandare carne, mangiare carne e amare carne. Ecco, è sessista buttarla sul genere e non su quanto sono brave, preparate e perfino cazzute le Madamine? – e lo sono brave, preparate e guerresche, le Madamine – ma se un’idea della donna è passata di moda significa che la buona società, nel rinnovarsi, non ha solo rinfrescato l’anagrafe, ha creato il cult.

    Le avvisaglie sinestetiche delle nuove promesse sono tutte sui social network. Ancora non scrivono in luoghi prestigiosi, non parlano da podi famosi, non siedono sulle poltrone dei talk show ma sai già che lo faranno, fra qualche anno al massimo. Ed ecco dunque Tiziana Lo Porto, giornalista di Repubblica, traduttrice di Minimum fax, scrittrice (gran bello il suo graphic novel, “Superzelda”, disegnato da Daniele Marotta, edito da Minimum fax). La Lo Porto vive a New York, quasi un dettaglio vintage che ben s’attaglia a Zelda Fitzgerald, eroina schizofrenica (morta bruciata in una clinica di Baltimora) protagonista con il marito Francis Scott dei ruggenti anni Venti, che ben le istrada, tutte queste madamine, rifulgenti adesso nella più che ruggente Era Renziana.

    Trascinante è il mondo delle Signorine Uno, ancora qualche settimana e qui, su queste pagine, si ripeterà quel che quindici anni fa fu un successo: “Madamine, il catalogo è questo”. Se ne farà un inventario, in tutto il territorio, seguendo la regola di far censimento secondo i confini pre-unitari. Vi troveranno posto le nuove, rispettando però il canone di Arbasino, opportunamente invertito. E dunque: Madamine, Streghe e Care Zie. Tutti i numero Uno dell’Anno uno. Già avete avuto un antipasto di quello che sarà un fastoso banchetto. Avete già letto di Madamine, sorte nell’ER (Era Renziana). E avete già saputo di Care Zie. Già odo l’obiezione: non una sola Strega? Ebbene sì, non una sola Strega. Forse sarò sessista, giammai cafone.

    • Pietrangelo Buttafuoco
    • Nato a Catania – originario di Leonforte e di Nissoria – è di Agira. Scrive per il Foglio.