Arriva il cancelliere Gribbels. O no?

Alessandro Giuli

Arriva sempre un momento in cui il bullo s’imbatte in un altro bullo più manesco e sicuro di sé, e le prende di brutto. L’anagrafe rileva ma non poi tanto, la stazza fisica nemmeno, semmai a pesare sono l’esperienza e la tecnica. Infine sono i numeri a certificare il risultato: con quel 26,88 per cento di share incassato lunedì sera a “Porta a Porta”, Beppe Grillo scavalca Matteo Renzi, diventa il capobranco televisivo e l’uomo (im)politico da battere. Il premier era andato da Bruno Vespa lo scorso 13 marzo, ricavando uno scintillante 25,1 per cento che ora – a pochi giorni dal voto europeo – impallidisce come il volto di un pavido.

    Arriva sempre un momento in cui il bullo s’imbatte in un altro bullo più manesco e sicuro di sé, e le prende di brutto. L’anagrafe rileva ma non poi tanto, la stazza fisica nemmeno, semmai a pesare sono l’esperienza e la tecnica. Infine sono i numeri a certificare il risultato: con quel 26,88 per cento di share incassato lunedì sera a “Porta a Porta”, Beppe Grillo scavalca Matteo Renzi, diventa il capobranco televisivo e l’uomo (im)politico da battere. Il premier era andato da Bruno Vespa lo scorso 13 marzo, ricavando uno scintillante 25,1 per cento che ora – a pochi giorni dal voto europeo – impallidisce come il volto di un pavido. Certo, quella del dott. Gribbels è per lo più una grandeur percepita e suscettibile di penosi rovesciamenti nel silenzio delle urne (non sarebbe la prima volta: i Cinque stelle tendono all’oro e poi finiscono per allacciarsi la medaglia di bronzo). Ma adesso il nuovo bullo alfa si gode lo spiazzamento del Rottamatore, dopo averlo malmenato con le sue stesse armi. La sprezzatura del ragazzino toscano, quel contegno d’impaziente senza rivali, ha trovato un antagonista capace di trasformare i suoi hashtag in ferraglia rugginosa e i suoi slogan in miti giaculatorie da sagrestano. Renzi faceva scandalo correndo veloce per rottamare i vecchietti e dispensando i suoi #staisereno alle vittime di un avvicendamento che mostrava la fredda crudeltà dell’ineluttabile. Grillo, anima di belva reincarnata in un greve pagliaccio dai capelli turchini, non ha dovuto fare altro che indovinare la traccia di sangue e seguirla. Il suo ruggito cafone è presto divenuto un clangore insuperabile: Hitler, la lupara bianca, il vituperio corporale e altre bellurie espettorate con ribalderia, vengono respinte con sdegno apparente ma in fondo risultano normali nella bocca di un teatrante moralista, a metà tra il selvaggio e il profeta. Grillo funziona, e funziona sopra tutto oggi perché l’elettorato italiano, esulcerato e incarognito com’è, gli somiglia troppo e all’esotico “Jobs Act” preferisce ancora l’espressione “made in Itali” (pronunciata così, per essere capita). Drôle de démocratie.
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    In questo annusarsi di fiere, Renzi ha commesso l’errore di abbassare per primo la coda: perduta la saldezza dell’imposizione, una volta compreso che a lui non avrebbero condonato la caduta nel latrato (sembra il più virgineo dei politici ma è pur sempre un politico e ha un ruolo istituzionale), ha preferito passare per il giovane saggio che rifiuta la dismisura verbale, demonizza gli accostamenti totalitari o mafiologici e dà di matto a un contendente che proprio nella pazzia identifica la trama della propria missione eversiva. Risultato: è Renzi ma sembra Enrico Letta fanciullo, con gli shorts senza piega, perso fra i tendoni dell’Expo milanese. Una caduta d’immagine aggravata dall’aver quasi subito offerto la giugulare alla belva, dandole in pasto l’arresto di Francantonio Genovese e promettendole una festante rincorsa sui temi a lei più consentanei come le leggi sul falso in bilancio e sui tempi della prescrizione. Il bullo alfa non chiedeva di meglio.