Ikea c'est moi

Annalena Benini

Ogni volta, tra lo scherno di tutti, porto a casa una lanterna. Di ferro, con lo spazio per una candela e piccoli fori a forma di stella. E tu ogni volta dici: ah, che fortuna, ecco la lanterna, non so come avremmo fatto senza. In teoria hai ragione, la lanterna non serve a niente, ma quando un sabato sera ci hanno staccato la luce perché non avevi pagato le bollette è stato bello aprire l’armadio della cucina e trovare dodici lanterne accatastate e centinaia di candele Ikea. La sopravvivenza, e in più il soffitto stellato, ecco il senso dell’Ikea: la più bella libreria del mondo (Billy, montata da me un milione di anni fa in un milione di ore) e pochissimi soldi in tasca.

    Ogni volta, tra lo scherno di tutti, porto a casa una lanterna. Di ferro, con lo spazio per una candela e piccoli fori a forma di stella. E tu ogni volta dici: ah, che fortuna, ecco la lanterna, non so come avremmo fatto senza. In teoria hai ragione, la lanterna non serve a niente, ma quando un sabato sera ci hanno staccato la luce perché non avevi pagato le bollette è stato bello aprire l’armadio della cucina e trovare dodici lanterne accatastate e centinaia di candele Ikea. La sopravvivenza, e in più il soffitto stellato, ecco il senso dell’Ikea: la più bella libreria del mondo (Billy, montata da me un milione di anni fa in un milione di ore) e pochissimi soldi in tasca. Il pane, le rose e “il bambù della felicità”, quella canna verde attorcigliata da tenere nel vaso, che non moriva mai, e stava in tutte le case del mondo: si traslocava, ci si lasciava, si emigrava, sempre con questa canna sotto braccio che continuava a germogliare, ostinata, anche senza acqua, anche senza un vaso, anche sui marciapiedi dove quelli che litigavano l’avevano lanciata con rabbia dalla finestra, fino a che qualcuno di molto cattivo (tu) ha deciso di buttarla in un cassonetto di nascosto, perché troppa felicità diventa insopportabile, tutta quella vitalità della canna verde attorcigliata sembrava sempre chiedere, in cambio, qualcosa, ripetere la stessa domanda, anno dopo anno: ci serve un armadio, quando torniamo all’Ikea? Capisco che è dura stare nella metà del mondo incapace di leggere i libretti di istruzioni, ed è umiliante vedere gli armadi guardaroba montati dagli altri in un pomeriggio bevendo vino bianco ghiacciato e baciandosi, con le ante scorrevoli che scorrono perfettamente, gli specchi, i portacravatte, i piegapantaloni, mentre noi due insieme riusciamo soltanto a montare i tavoli e le sedie di plastica dei bambini, quelli con le gambe a pressione, però non si può non andare, periodicamente, a smarrirsi all’Ikea. Anche soltanto per i tovaglioli di carta, i fiori finti, le tende da doccia che in nessun altro posto sono così belle.

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    E’ giusto, poi, arrivare alle casse stremati e nervosi, dopo ore in cui ci si è telefonati più volte, fermi con un tappeto sulle spalle, perché uno stava già al settore bagni mentre l’altro si era perso (nascosto) fra i materassi, litigare perché qualcuno senza istinto per l’umanità (tu) ha scelto la fila più lunga (è evidente che le ragazze col pancione accarezzate da uomini non impazienti hanno ancora tutto da fare e stanno comprando un intero futuro Ikea) e infine gridare all’uscita: mai più, sentendosi anche molto male fisicamente. Un amico, con il carrello pieno di sedie da giardino, barbecue, lampade a stelo e specchi per il bagno, ha caricato l’automobile, tirando giù i sedili, è arrivato a casa e ha avuto un ictus, forse anche perché la mattina dopo, tra le cinque e le dieci del mattino, gli avrebbero consegnato il divano a tre posti e il soppalco: era la sua prima volta all’Ikea. Quanti viaggi all’Ikea ha in dotazione un amore, prima di esaurirsi? E quante volte si può chiedere a un uomo di andare all’Ikea di domenica? La risposta è: mai più di due, nell’arco di una vita. La prima volta servirà a costruire, per le generazioni successive, il racconto epico del sacrificio per amore, e l’entusiasmo per le polpette, il salmone e i trenini di legno, la seconda volta è più pericolosa: le polpette non stupiscono più e il percorso obbligato attraverso intere esistenze arredate con orchidee nel vaso provoca brame di rivolta, desideri di roulotte, o almeno di appartamenti segreti in cui non fare mai entrare un catalogo Ikea. Ma anche nel più clandestino dei luoghi, amore mio, nel più nascosto dei vicoli, nel più lontano dei mondi, spunterà sempre una poltrona Ektorp a riportarti a casa.
    Sulla Stampa di ieri Mattia Feltri ha firmato l’articolo “Io e Annalena, a dividerci è soltanto l’Ikea”.

    • Annalena Benini
    • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.