Tutti primi al traguardo del Cav.

Salvatore Merlo

C’è il nord contro il sud, la periferia contro il centro dell’impero, in questa contesa per le europee dentro Forza Italia, ma c’è anche il notabilato degli insediamenti contro la corte di Palazzo Grazioli, la vecchia guardia contro il nuovo cerchio magico, i baroni del consenso contro i favoriti del Sovrano. Si corre tutti sotto le stesse insegne, è ovvio, e il pessimismo fa per tutti la schiuma come il latte che bolle,“sotto il 20 per cento sarebbe un disastro”. Ma ci si conterà pure dall’interno, scheda per scheda, nome per nome, preferenza per preferenza.

    C’è il nord contro il sud, la periferia contro il centro dell’impero, in questa contesa per le europee dentro Forza Italia, ma c’è anche il notabilato degli insediamenti contro la corte di Palazzo Grazioli, la vecchia guardia contro il nuovo cerchio magico, i baroni del consenso contro i favoriti del Sovrano. Si corre tutti sotto le stesse insegne, è ovvio, e il pessimismo fa per tutti la schiuma come il latte che bolle,“sotto il 20 per cento sarebbe un disastro”. Ma ci si conterà pure dall’interno, scheda per scheda, nome per nome, preferenza per preferenza. E già nel partito si fa contrabbando d’affettuosi sarcasmi, gli uomini di Forza Italia si dileggiano con fraternità pettegola e maligna. “Lunedì poi voglio vedere quanti voti prendono quelli lì”, pare abbia sogghignato Raffaele Fitto, il gran feudatario pugliese, il capolista nel mezzogiorno che si dà l’aria di tenersi subordinato ma che in realtà, assieme a Gianfranco Micciché, l’altro gran campiere capolista nelle isole, vorrebbe scompaginare il partito e i suoi equilibri, aprire le finestre e trovare un’altra leadership. Ed è per questo che Fitto è sceso in armi contro “quelli lì”, cioè contro i cortigiani di Arcore, gli abitanti del Castello, tutti candidati al nord Italia: Giovanni Toti, il funzionario trasferito da Mediaset a Forza Italia, Licia Ronzulli, la protetta del Cavaliere, e Simone Furlan, il generale dell’Esercito di Silvio.

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    E dunque nord contro sud, Fitto e Micciché contro Toti e Furlan, cercatori di nuovi leader contro samurai di Berlusconi, i volti del ventennio trascorso contro il renzismo strisciante di Arcore. “L’idea della successione dinastica non mi scandalizza per niente”, dice Micciché, “Marina può benissimo fare il leader”, sostiene l’uomo che fu viceré di Sicilia, mentre Fitto, al contrario, pensa forse più a se stesso che a Marina, e sogna dunque una vita finalmente libera e indipendente dal padronato. Ma né l’uno né l’altro gustano più il piacere composito della subordinazione e della fiducia, che li faceva contenti d’appartenere in qualche modo a quell’uomo magico e invincibile chiamato Cavaliere. E così le elezioni europee acquistano un significato e un sapore speciali in Forza Italia, circolo Pickwick i cui soci palleggiano tra loro invidie e rancori, timori e frottole. Gli uomini e le donne del partito, i candidati, si vedono, si incrociano, si sfiorano, si urtano, si pestano i piedi, si prendono sottobraccio: “La Ronzulli non sarà nemmeno eletta”, dicono. “Lara Comi? E’ una miracolata”, sorridono. E ancora: “Fitto deve stare attento a non tessere troppo nell’ombra”. Così circolano persino leggende, storie evanescenti di telefonate, preghiere che dal nord scivolano accorate verso il sud, da Arcore verso la Puglia, verso la Sicilia, verso la Campania: votate per i secondi o i terzi delle liste, lasciate perdere Fitto e Micciché. Ma loro sono meridionali, dunque sanno difendersi, conoscono il gioco, sanno tutto e vedono tutto, perché tutto prima o poi finisce sempre nelle loro stanze assediate da liberti e questuanti che chiedono raccomandazioni, tramano manovre e imbrogli acrobatici, a volte i più impensabili, roba da infarto. E certo la dissimulazione è l’arte più antica della politica, dunque Micciché abbassa le orecchie e sorride di modestia, “non potrò mai prendere i voti di Toti”, ha detto, “qui abbiamo una circoscrizione piccolissima”. Eppure la storia è tutta qui. E lo scambio di sberleffi e dispetti si fa paradossale quando dal sud, rodomonteschi come sono, rispondono che “Claudio Scajola è stato depennato dalle liste elettorali perché al nord, con le preferenze, avrebbe umiliato Toti”. Dicono che Berlusconi è contento così: al sud ci vogliono i baroni. E per accontentarli c’è tempo.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.