Wie es geschehen ist

Tra slide e dribbling. Benvenuti in Italia, capitale della campagna elettorale

Mario Sechi

Populista. Alle 22 e 28 di un piovoso giovedì milanese Dario Fo informa la massa radunata in piazza Duomo che lui, il Nobel che non t’aspetti, si “è sentito di essere populista” grazie a Sergio Marchionne e alla “politica del ricattatore dei lavoratori”. Ventinquattromila dipendenti, tutti sotto ricatto. Benvenuti in Italia, capitani d’impresa. E’ il 22 maggio, anno 2014, la campagna elettorale per le elezioni europee è in piena fase da osteria. Rimetterla in piedi è impossibile, Superciuk imperversa.

    Populista. Alle 22 e 28 di un piovoso giovedì milanese Dario Fo informa la massa radunata in piazza Duomo che lui, il Nobel che non t’aspetti, si “è sentito di essere populista” grazie a Sergio Marchionne e alla “politica del ricattatore dei lavoratori”. Ventinquattromila dipendenti, tutti sotto ricatto. Benvenuti in Italia, capitani d’impresa. E’ il 22 maggio, anno 2014, la campagna elettorale per le elezioni europee è in piena fase da osteria. Rimetterla in piedi è impossibile, Superciuk imperversa. E’ l’ultima curva prima del rettilineo. Con un tocco di contemporaneità hi-tech (“Uber funziona”, Matteo Renzi, ore 9 e 32), un passaggio di fisica dinamica (“Renzi si è auto-catapultato a Palazzo Chigi”, Silvio Berlusconi ore 9 e 35), un memento religioso (“Beatrice Lorenzin si lamenta di non essere stata valorizzata da Berlusconi: dovrebbe accendere un cero alla Madonna ogni mattina”, Giovanni Toti, ore 15 e 43). In fondo da altre parti le cose non vanno meglio. Chiedere a David Cameron (Tories), Nick Clegg (LibDem) e Ed Miliband (Labour) cosa si prova a essere squassati dal fenomeno Ukip di Nigel Farage, un partito che ha la sterlina nel logo. E non sarà tutta una questione di moneta, ma l’euro in questa storia c’entra e non di striscio. Matteo Salvini – è sempre giovedì – va a casa di Romano Prodi, a Bologna, con una targa da lasciare ai posteri (“Qui visse l’illuminato professor Romano Prodi che ci portò in una moneta criminale”). Berlusconi sabato 17 maggio raduna le “sentinelle del voto” ed entra nel caveau: “La Bce diventi una vera banca centrale. Se ciò non avverrà non saremo noi a uscire dall’euro, ma sarà la realtà economica che ci imporrà di farlo”. E se domenica (18 maggio) in Svizzera non passa il referendum per il salario minimo (3.270 euro!) in Italia Renzi si cala nell’“Arena” di Giletti per ribadire che no, gli 80 euro “non sono una manovra elettorale”, mentre lunedì a “Mattino 5” Berlusconi dice che “sono una cosa scorretta”. Sul taccuino c’è tutto e il contrario di tutto, un frullato che corre sulla scrivania come la poltiglia di Blob. Alla voce “in ordine sparso” s’accumulano gioiose macerie: “Euro-dollaro a 1,37” (lunedì 19 maggio, ore 14); Tasi, rischio caos, in molte città più alta dell’Imu (sos della Uil, ore 15 e 02); “Beppe Grillo scrive una lettera ai Piddini alla maniera di Totò, Peppino e la malafemmina” (Agi, ore 18 e 04); “Schifani: senza Ncd né governo né 80 euro in busta paga” (fantascienza dalla Calabria, ore 18 e 38); ancora lui, [**Video_box_2**]Grillo: “Gli 80 euro? Era più decoroso il voto di scambio di Achille Lauro”. Scarpa e pasta. Mi gira la testa, poso il Moleskine, cerco un Moment, parte “Confusione” di Lucio Battisti: “Tu lo chiami solo un vecchio sporco imbroglio / ma è uno sbaglio è petrolio / troppo furbo per non essere sincero / ma è davvero oro nero”. La canzone finisce per ricordarmi Romano Prodi che ammonisce: “Non facciamoci soffiare il petrolio dalla Croazia” (ore 16 e 23). Evvai, trivelliamo! Macché, è tutto un eolico e un solare dibattito, in Italia. E l’euro che fa? Martedì è a 1,3701 sul dollaro, mercoledì a 1,3686, giovedì a 1,3654 e venerdì a 1,3630. E’ più debole, come l’economia del Vecchio continente, ma chi le guarda le quotazioni a Piazza Affari? Eppure stanno tutti in piazza. Ah, la guerra delle teste e delle bandiere, delle inquadrature, dei fischi e degli applausi. Bilancio pre-San Giovanni: a Piazza Duomo pioveva ma era piena (Grillo, giovedì 22 maggio), Piazza del Popolo era asciutta ma mezzo piena – o mezzo vuota, fate voi – (Renzi, stesso giorno). “La piazza è nostra”, urla Matteo dal palco (ore 20 e 18) mentre Grillo dopo il gimmi five con Bruno Vespa (lunedì 19) tende la mano e il microfono a Dario Fo, il populista di Svezia. E’ venerdì (23 maggio), siamo sul rettilineo, Renzi riunisce il governo a Palazzo Chigi e proietta dieci slide con lo slogan “Ottanta euro, giù le tasse, è la prima volta davvero”, Massimo D’Alema si spende per il premier perché spera “che ottenga il successo che merita”, Renato Brunetta s’inalbera per la conferenza stampa pre-voto e spolvera memorie catodiche (“Renzi spudorato, è tornato quello della “Ruota della Fortuna”) mentre Beppe Grillo e Gianrobbe’ Casaleggio viaggiano, felici e (dis)connessi, in camper verso Roma. Frenata. Stop. Silenzio elettorale. Figuriamoci, continua.