Europa scettica
Il grande vincitore delle elezioni europee di domenica è la frammentazione, che renderà più complicato governare l’Europa in una fase di crisi esistenziale e modificherà gli equilibri politici dell’Unione. Il Partito popolare europeo si è confermato il più grande gruppo politico, ma subisce un netto arretramento rispetto al 2009. Potrebbe toccare a Jean-Claude Juncker cercare di trovare una maggioranza per formare la prossima Commissione europea, anche se diversi capi di stato e di governo rimangono ostili al cristiano-democratico lussemburghese. I socialisti & democratici non sono riusciti a cavalcare l’onda della crisi, malgrado le loro grida anti austerità, e mancano il sorpasso sui popolari.
Il grande vincitore delle elezioni europee di domenica è la frammentazione, che renderà più complicato governare l’Europa in una fase di crisi esistenziale e modificherà gli equilibri politici dell’Unione. Il Partito popolare europeo si è confermato il più grande gruppo politico, ma subisce un netto arretramento rispetto al 2009. Potrebbe toccare a Jean-Claude Juncker cercare di trovare una maggioranza per formare la prossima Commissione europea, anche se diversi capi di stato e di governo rimangono ostili al cristiano-democratico lussemburghese. I socialisti & democratici non sono riusciti a cavalcare l’onda della crisi, malgrado le loro grida anti austerità, e mancano il sorpasso sui popolari. Come previsto dai sondaggi, la rabbia per la situazione economica e l’incompetenza delle classi politiche nazionali ed europee si è canalizzata verso i partiti anti sistemici. Il Front national conquista la Francia, l’Uk Independence Party il Regno Unito, Syriza la Grecia. Gli anti europei crescono in Danimarca e Svezia, ma sbocciano anche in Germania e Spagna. Si installano definitivamente nel panorama della politica europea, creando una nuova dialettica, che costringerà i partiti tradizionali ad abbandonare il pensiero unico europeista della sempre maggior integrazione come unica strada.
Il terremoto è destinato a colpire più le capitali nazionali che Bruxelles, con effetti non necessariamente catastrofici per l’Unione. La cancelliera tedesca Angela Merkel, il britannico David Cameron, l’olandese Mark Rutte, il finlandese Jyrki Katainen e lo svedese Fredrik Reinfeldt spingeranno per l’opzione “potere al popolo”, come l’ha definita l’Economist: rimpatriare una serie di competenze europee (perché la Commissione si occupa di turismo, benessere degli animali o sacchetti di plastica?), e affidarle ai detentori della legittimità democratica che sono i parlamenti nazionali. “E’ chiaro che il miglior modo per tagliare l’ossigeno (agli anti europei) è dimostrare che l’Ue può riformarsi e rispondere agli elettori”, spiega Mats Persson, direttore del think tank eurocritico Open Europe.
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Il pericolo per l’Ue non è la paralisi delle istituzioni comunitarie, ma la stagnazione politica, in particolare se il successore di José Manuel Barroso sarà Juncker, che promette cinque anni di status quo su economia, austerità, modifiche dei Trattati e allargamento. “Se rispondessi positivamente a populisti ed estremisti, perderemmo i voti di quelli che vogliono l’Europa”, ha spiegato ieri il candidato dei popolari alla presidenza della Commissione. Troppo pochi e troppo divisi per contare, gli anti Ue non impediranno la conferma della grande coalizione tra popolari e socialisti che da sempre è alla testa dell’Europa. Gli anti europei, del resto, sono frammentati come il resto del quadro politico. Estrema sinistra ed estrema destra, che insieme hanno meno del 25 per cento dei seggi, non hanno alcuna intenzione di unirsi per abbattere l’Ue. Marine Le Pen faticherà a creare un gruppo politico (servono eletti da 7 paesi, ma il Front national finora ha trovato solo 5 alleati), mentre quello di Nigel Farage rischia di disfarsi, perché gli anti europei danesi e finlandesi vogliono riconquistare rispettabilità passando con i Conservatori britannici e polacchi.
Governare, però, diventerà più difficile, perché la frammentazione logora gli equilibri attuali. “La politica europea sarà più imprevedibile”, avverte Persson. Dentro il Consiglio europeo il motore franco-tedesco appare compromesso, per la debolezza di François Hollande (che ieri ha riconfermato il primo ministro Valls e la sua roadmap). Dentro l’Europarlamento la Germania, che finora aveva occupato i gangli del potere grazie alle monolitiche delegazioni della Cdu-Csu e della Spd, sarà rappresentata da 12 partiti nazionali. “La Francia di fatto avrà solo 50 deputati e non 74”, lamenta un diplomatico francese, spiegando che gli interessi nazionali non saranno difesi dalla pattuglia del Front national. Un po’ come i movimentisti grillini, che Juncker definisce “eurodeputati dalla sedia vuota”. Matteo Renzi ha la duplice occasione di sostituire l’Italia alla Francia nella coppia con la Germania che domina l’Ue e di mettere il Pd alla testa del gruppo dei socialisti & democratici per rompere il monopolio tedesco sull’Europarlamento.
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