Finita la marcia su Rapallo / 6

Viva Matteo il Magnifico, il democristiano che vendica noi pre/post/ex comunisti

Stefano Di Michele

Come certi furono salvati dalle vecchie zie, noi pre/post/ex comunisti siamo stati salvati dai democristiani. Si è trattato di un investimento lungo come dieci piani quinquennali, tre Repubbliche (prima, seconda e terza) e un paio di direttori di Repubblica (peraltro i soli: Scalfari e Mauro). Ma alla fine ha dato il suo frutto, roseo e succoso: Matteo Renzi. Fortificato tra i boy scout, unto da Mike alla “Ruota della fortuna”, democristiano/1 del Ppi (non avendo, anagraficamente, potuto acchiappare l’originale Dc: non mancò il desiderio, piuttosto gli anni), democristiano/2 della Margherita, in rutelliano transito, finalmente democristano/3, completamente appagato (e noi con lui) nel Pd – insieme tentazione e garanzia.

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    Come certi furono salvati dalle vecchie zie, noi pre/post/ex comunisti siamo stati salvati dai democristiani. Si è trattato di un investimento lungo come dieci piani quinquennali, tre Repubbliche (prima, seconda e terza) e un paio di direttori di Repubblica (peraltro i soli: Scalfari e Mauro). Ma alla fine ha dato il suo frutto, roseo e succoso: Matteo Renzi. Fortificato tra i boy scout, unto da Mike alla “Ruota della fortuna”, democristiano/1 del Ppi (non avendo, anagraficamente, potuto acchiappare l’originale Dc: non mancò il desiderio, piuttosto gli anni), democristiano/2 della Margherita, in rutelliano transito, finalmente democristano/3, completamente appagato (e noi con lui) nel Pd – insieme tentazione e garanzia. E ora, issato sopra il vertiginoso cumulo del quaranta per cento e passa dei voti, indica finalmente alla sinistra l’avvistamento della terra promessa: a caratura e aratura e trebbiatura democristiana. E’, Matteo il Magnifico, il Fanfanetto nostro – che il governo guida, che il partito guida, che il paese tutto guida, che quando gli gira guida pure la macchina sua, e che se fa una virata azzardata al massimo mette sotto Giovanni Floris. E’ toccato a lui – uomo d’acquasantiera e di Maria De Filippi, che mai con mano una bandiera rossa sfiorò – vendicare l’onore offeso di tanti e tanti compagni che col passare dei decenni s’immolarono o furono sbalzati quando già si credevano innalzati: quelli di lotta e di governo (spesso l’una e l’altro mai), quelli della “gioiosa macchina da guerra” che forò alla prima uscita su strada, quelli del baffo dalemiano che tremare il mondo faceva, quelli dell’afflato veltroniano su sfondo di campagna umbra con giottesca evocazione, quelli della sorte bersaniana che sulla “sottile linea rossa” all’ultimo momento crollavano. [**Video_box_2**]Rottamati prima, vendicati poi. Compagni, avanti il gran partito – e chi poteva mai dirlo che il gran partito fosse quello di Matteo, che tutti all’inizio guardavamo come il Bimbominkia della sinistra nostra, il precotto della disperazione, il camperista dell’ennesimo day after che ci era toccato. Dimenticammo –  romanticamente cuperliani, sentimentalmente bersaniani – che era sì bullo, ma bullo democristiano, pur da Fonzie travisato: mirabile reincarnazione di tanti nostri peccati (i meglio) di gioventù, quando pure Bartolo Ciccardini ci sembrava utile argine all’avanzata delle destre berlusconian/bossiane/finiane – e figurarsi che destre. Era, solo adesso ce ne accorgiamo, il nostro piccolo Budda – scovato a Pontassieve come quello del film veniva trovato a Seattle (a parte che, per carattere suo, Renzi il mandala di sabbia userebbe, per farlo, la betoniera e, per distruggerlo, l’escavatrice). Sognammo con Moro, ammirammo Fanfani, fummo sedotti da De Mita, presi da passione per Andreotti, incantati da Scalfaro, affascinati da Martinazzoli, applaudimmo Colombo, intronizzammo Prodi, persino a Pisanu strizzammo l’occhietto – e di De Gasperi solo la contingenza ci impedì di dire bene in vita, ma molti convegni e molte giornate, in seguito, abbiamo passato per dirne bene da morto. Lì era la risorsa nostra – nella democristianeria che persiste e che, sempre e per sempre, dalla stessa parte avremmo voluto. E di tante afflizioni e lacrime e infiniti occhi bassi e sguardi mesti infine Matteo ci ha vendicati. Sennò, magari, oggi ci toccava aprire un cantiere di discussione (Cuperlo, ma c’hai le pigne in capoccia?) con quelli della lista Tsipras, sai che goduria tre giorni di discussione al centro congressi Frentani, per dire, con Curzio Maltese e Barbara Spinelli… Non fosse per mancanza di rispetto, oltre che per assenza di pelata e  pizzetto, si potrebbe dire che è Matteo il piccolo Lenin che ci ha spalancato le porte del Palazzo d’Inverno. Dopo l’elezione, adesso manca solo l’elettrificazione. Evviva il grande Partito democratico / di Renzi, Madia, Boschi e Bonafé! Ci fosse Dudù, poi, sarebbe perfetto.

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