Storia della sinistra ammanettata agli elefanti

Spezzare le catene. Cosa c'è davvero in ballo nella sfida tra Renzi e Confindustria

Claudio Cerasa

Un po’ per la concertazione. Un po’ per la sovrapposizione. Un po’ per l’incesto. Un po’ per la rappresentatività. Un po’ per la sottomissione. Un po’ per la contiguità. Un po’ per tutto questo, e un po’ per molto altro, bisogna dire che uno dei terreni sui quali la sinistra ha mostrato in modo più evidente la sua subalternità culturale rispetto al mondo degli imprenditori riguarda la natura del suo rapporto con il mondo di Confindustria. Non c’è politico di sinistra che non si muova sullo scacchiere senza chiedersi «Ma poi che cosa dirà Confindustria?». Non c’è politico di sinistra che prima o dopo una campagna elettorale non cerchi sempre di firmare un accordo, un patto, un’intesa con il mondo confindustriale.

    Pubblichiamo un estratto del libro di Claudio Cerasa, “Le catene della sinistra. Non solo Renzi. Lobby, interessi, azionisti occulti di un potere immobile

    Un po’ per la concertazione. Un po’ per la sovrapposizione. Un po’ per l’incesto. Un po’ per la rappresentatività. Un po’ per la sottomissione. Un po’ per la contiguità. Un po’ per tutto questo, e un po’ per molto altro, bisogna dire che uno dei terreni sui quali la sinistra ha mostrato in modo più evidente la sua subalternità culturale rispetto al mondo degli imprenditori riguarda la natura del suo rapporto con il mondo di Confindustria. Non c’è politico di sinistra che non si muova sullo scacchiere senza chiedersi «Ma poi che cosa dirà Confindustria?». Non c’è politico di sinistra che prima o dopo una campagna elettorale non cerchi sempre di firmare un accordo, un patto, un’intesa con il mondo confindustriale. E non c’è politico di sinistra che in un modo o in un altro non scelga di puntare su qualche volto di Confindustria per segnare la sua vicinanza al sindacato degli imprenditori: lo ha fatto il Pd di Walter Veltroni, quando nel 2008 ha scelto di candidare come capolista in Veneto il capo di Confindustria Vicenza Massimo Calearo; lo ha fatto il Pd di Pier Luigi Bersani, quando nel 2013 ha scelto di candidare come capolista in Lombardia l’ex direttore generale di Confindustria Giampaolo Galli; lo ha fatto il Pd di Guglielmo [**Video_box_2**]Epifani quando nel 2013 ha scelto di affidare l’incarico di responsabile economia del Pd all’ex capo dei Giovani Industriali Matteo Colaninno; lo ha fatto nel 2014 anche Matteo Renzi quando, dopo aver sondato anche il direttore generale di Confindustria Marcella Panucci, ha scelto di affidare l’incarico di ministro dello Sviluppo all’ex capo dei Giovani Industriali Federica Guidi. Il tutto sempre con la stessa idea: stringere un accordo con il mondo confindustriale significa fare gli interessi di chi controlla il sistema produttivo e di conseguenza compiere un passo decisivo per essere considerati affidabili dall’establishment. Senza capire però che la sinistra a passeggio con Confindustria ha spesso schiacciato gli stessi fusti, gli stessi rami, gli stessi germogli, gli stessi frutti e le stesse foglie che in teoria sarebbero stati necessari per nutrirsi, per vivere, per vincere le elezioni. La questione, naturalmente, non riguarda solo il tema della rappresentatività ma riguarda le battaglie combattute dal sindacato degli industriali e fatte proprie dalla sinistra. Battaglie che – come vedremo – il più delle volte non hanno avuto lo scopo di stimolare la crescita, di perfezionare il mercato del lavoro, di migliorare la competitività del settore produttivo ma che hanno sempre, o quasi sempre, avuto l’obiettivo di far ottenere alle grandi industrie maggiori sussidi. E si capisce dunque che in questi anni, tranne una breve parentesi tra il 2000 e il 2004, il sindacato degli imprenditori e quello dei lavoratori si sono sempre trovati d’accordo. Hanno sempre combattuto le stesse battaglie. Fino al punto di ritrovarsi qualche volta persino sugli stessi palchi del Pd a festeggiare insieme il Primo maggio. Giancarlo Galli, saggista, giornalista, economista e scrittore specializzato nello studio dell’establishment italiano, sostiene che il legame tra la sinistra e la Confindustria ha rafforzato la percezione che la sinistra sia il partito degli imprenditori e ha contribuito ad allontanare la sinistra dalla pancia imprenditoriale del Paese. «Da tempo ormai ci troviamo in un contesto in cui gli industriali si confondono con i politici, i politici si confondono con gli industriali, la sinistra si confonde con l’industriale, l’industriale si confonde con la sinistra e dove, in perfetto stile consociativo e corporativo, a forza di difendere involontariamente lo status quo si è venuto a creare un blocco in cui, ad essere alleate, si trovano due istituzioni che in teoria, per il bene del Paese, dovrebbero essere dialoganti ma non sovrapponibili: Cgil e Confindustria. Ed è curioso che in un Paese in cui i politici spesso si indignano per la presenza nelle grandi imprese di vecchi e conservativi patti di sindacato non ci si accorga che uno dei patti di sindacato che ha maggiormente strozzato l’Italia è quello sponsorizzato dalla sinistra: quello tra Cgil e Confindustria. E a mio avviso Confindustria ha lo stesso difetto che ha la Cgil: rappresenta molti industriali ma non rappresenta il complesso dell’industria, così come il sindacato dei lavoratori rappresenta molti lavoratori ma non rappresenta il complesso del mondo dei lavoratori. I grandi industriali si sono sempre disinteressati della piccola e media industria. E da sempre, dai tempi di Gianni Agnelli, i grandi accordi confederali hanno fatto quasi esclusivamente gli interessi della grande industria. E anche oggi, considerando che soci di Confindustria sono aziende come Eni, Enel, Finmeccanica, che da sole valgono il 50% della capitalizzazione della borsa italiana, è ovvio che il sindacato degli industriali faccia prima di tutto gli interessi dei grandi. Pensate per esempio al caso di Unindustria, l’organismo che riunisce Roma e le province del Lazio.» Nella sua giunta – nota Galli – sono presenti manager come Mauro Moretti di Ferrovie dello Stato, Giancarlo Cremonesi di Acea, Pietro Ciucci di Anas, Rodolfo De Laurentiis della Rai, Loretana Cortis di Poste italiane, Pierluigi Borghini di Eur spa, Vincenzo Soprano di Trenitalia, Francesco Giorgianni di Enel, Angelo Fanelli di Eni, Stefano Conti di Terna, Roberto Maglione di Finmeccanica. Tutte società statali. E poi uno si stupisce che Confindustria faccia più gli interessi dei grandi che dei piccoli? «Da un certo punto di vista» conclude Galli «il vero errore di Confindustria è stato quello di perseguire più una grande pace sociale che una grande riforma del mercato industriale. E a forza di concertare, concertare, concertare, concertare, i sindacati sono riusciti sempre ad avere una voce in capitolo nella contrattazione. Sono sempre riusciti ad avere qualche soldino dai governi, qualche aiuto sulla cassa integrazione, qualche sussidio indiretto o indiretto ma non sono mai riusciti a ottenere né salari più alti né migliori condizioni lavorative. E soprattutto non sono mai riusciti a imporre nella nostra cultura un concetto che invece, in un Paese come la Germania, ormai è patrimonio condiviso. Un concetto semplice: il salario non è una variabile indipendente dai costi di produzione di un’azienda ma è legato alla produttività di un’azienda. Purtroppo la sinistra ha sempre avuto una visione economica infantile: non ha mai tenuto conto dell’interesse del mercato, ha sempre ritenuto la produttività come una richiesta eversiva formulata dai nemici del popolo e ha sempre trovato mille scuse per continuare a incentivare un pericoloso meccanismo di sussidi pubblici: una droga. Ai tempi, quando c’era l’Iri, il giochino era semplice e le aziende fallite, con il pretesto che comunque occorreva pagare gli operai, finivano nelle mani dell’Iri. Oggi il gioco è più complesso e il pubblico agisce in modo più obliquo. Ma sempre di quello si tratta: di una droga.»

    Che cosa sono le catene della sinistra

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.