Numeri e scacchi

Cosa si muove e chi si muove nel super risiko per il dopo Napolitano

Claudio Cerasa

Una volta smaltita la sbornia per la vittoria di Renzi, per la mezza batosta di Alfano, per la mezza sconfitta di Berlusconi, per il flop di Grillo, sul tavolo del governo, a parte le riforme, i decreti, i disegni di legge, la giustizia, il fisco, il Senato, l’italicum e la Pubblica amministrazione,

    Una volta smaltita la sbornia per la vittoria di Renzi, per la mezza batosta di Alfano, per la mezza sconfitta di Berlusconi, per il flop di Grillo, sul tavolo del governo, a parte le riforme, i decreti, i disegni di legge, la giustizia, il fisco, il Senato, l’italicum e la Pubblica amministrazione, il dossier più scottante che nei prossimi mesi è destinato a catturare l’attenzione del presidente del Consiglio riguarda un tema che a Palazzo Chigi viene maneggiato con cautela e discrezione, ma che giorno dopo giorno sta diventando sempre più attuale. Problemino: cosa faremo quando Giorgio Napolitano deciderà di fare un passo di lato? L’entourage di Renzi è convinto che sarebbe prezioso per il governo avere al Colle un presidente come Napolitano con cui il premier, dopo una prima fase di diffidenze reciproche, ha costruito una sintonia persino più “profonda”, dicono con un sorriso a Largo del Nazareno, di quella costruita con Berlusconi. Eppure, il risultato ottenuto domenica dal Pd, risultato che in teoria dovrebbe agevolare il cammino delle riforme del governo Leopolda, potrebbe accorciare e non allungare la permanenza di Re George al Quirinale. Il mandato di Napolitano, si sa, è legato al percorso delle riforme e se è vero che Renzi oggi (dipende solo da lui) ha la possibilità di accelerare, il mandato del presidente potrebbe considerarsi esaurito nel giro di pochi mesi. Ottobre o gennaio o ancora più avanti poco cambia. I tempi li deciderà il presidente della Repubblica. Ma è un fatto che il continuo vociferare relativo alla successione di Napolitano ha fatto partire da alcuni giorni non tanto il totonomi, quanto una corsa alle autocandidature. Il primo a scattare in pedana, sostenuto da Massimo D’Alema, che in realtà per quel ruolo vedrebbe molto bene un signore con i baffi, diciamo, è stato Giuliano Amato, che due settimane fa ha incaricato l’ex ministro della Cultura, Massimo Bray, di sondare i parlamentari del Pd sulle possibilità che avrebbe la candidatura dell’ex presidente del Consiglio (il sondaggio non è andato benissimo). Il secondo a scattare in pedana è stato Pier Luigi Bersani. E i suoi fedelissimi lavorano da mesi per convincere i gruppi parlamentari della perfezione della candidatura dell’ex segretario del Pd (“Come farebbero a dire di no i Cinque stelle? Come potrebbe dire di no Forza Italia?”). Il terzo a scattare è stato Romano Prodi, che come si sa ogni volta che è candidato a qualcosa tende sempre a smentire quella candidatura (“Io al Quirinale – ha detto due giorni fa all’Espresso – no. Io ho già ribadito in più occasioni che ‘the game is over’: ho finito il mio ruolo politico. Come vedete faccio il commentatore”) ma che in realtà da alcuni mesi ha ricominciato a lavorare, non solo in Italia ma anche all’estero, per raggiungere quell’obiettivo. E in cuor suo Prodi è convinto che solo la sua elezione potrebbe ridare a Renzi la possibilità di rimarginare quella ferita chiamata “101”. Il quarto a scattare è stato invece Walter Veltroni, che nega di essere interessato alla corsa, sostiene di avere altre e non identificate idee per il futuro, ma la cui candidatura oggi è in realtà la più forte, la più trasversale, ben vista anche da Napolitano, e in molti, nel Pd, non hanno potuto fare a meno di notare le ripetute parole di stima rivolte ieri dal presidente del Consiglio all’ex segretario durante la direzione del Pd.

    I nomi, i criteri, il peso determinante - Il terrore dei veltroniani è che la candidatura di “Walter” sia diventata di dominio pubblico troppo presto, con troppo anticipo, perché mai come per la corsa al Colle chi entra Papa esce quasi sempre cardinale (e Veltroni sa che uno come Romano Prodi forse non ha la forza sufficiente per farsi eleggere al Colle ma ha certamente la forza sufficiente per sabotare la candidatura dell’ex segretario del Pd, al quale Prodi, che come è noto non è tipo rancoroso, continua a imputare la caduta del solidissimo governo Prodi-Turigliatto-Mastella-Pecoraro Scanio). Con più tatto, meno appariscenza e passo più vellutato sono anche altri i pedoni che si sono mossi in vista della successione alla presidenza della Repubblica. Senza grandi possibilità ma con ambizione discreta e consenso potenzialmente ampio si sentono della partita sia Sabino Cassese (giudice della Corte Costituzionale, pupillo di Napolitano) sia Dario Franceschini (ministro della Cultura, maestro della tattica, che punta a essere la carta giusta da scegliere nel caso in cui Pd, Forza Italia ed Ncd non dovessero trovare un accordo). Al di là dei nomi, però, ciò che è certo è che a Palazzo Chigi un peso determinante nella scelta del successore di Napolitano l’avrà un mondo particolare, al quale il presidente del Consiglio e il suo braccio destro Graziano Delrio sono molto legati.

    Il mondo in questione è ovviamente quello dell’Anci (Associazione nazionale comuni italiani). E’ un mondo che ha avuto un peso importante nella partita delle nomine delle grandi aziende pubbliche. E’ un mondo che ha una sua discreta forza all’interno della galassia renziana. Ed è un mondo che sta spingendo per la candidatura al Quirinale non solo di Piero Fassino (sindaco di Torino, stimato anche da Carlo De Benedetti, candidato a qualsiasi cosa, anche al ruolo di commissario europeo, se non fosse che il dito medio offerto ai tifosi del Toro qualche tempo fa ha fatto lievemente scendere le sue quotazioni) ma soprattutto di Graziano Delrio (attuale sottosegretario alla presidenza del Consiglio nonché l’uomo che a Palazzo Chigi riceve ogni giorno il maggior numero di telefonate dal Quirinale).

    [**Video_box_2**]Tutto dunque è in movimento. I deputati del Pd raccontano ai cronisti che la vera partita da seguire delle stagioni estate-autunno-inverno sarà questa. Dicono che, numeri alla mano, oggi, il Pd avrebbe persino la possibilità, dal quarto scrutinio in poi, di eleggere il presidente della Repubblica senza i voti di Forza Italia (Pd, Ncd, Scelta civica, Casini, Mauro, contando anche i grandi elettori delle regioni, tra deputati e senatori hanno circa 600 parlamentari, quasi cento in più rispetto alla maggioranza assoluta necessaria a eleggere il capo dello stato dal quarto scrutinio in poi). Dicono che ormai – e questo è un dato che avrà un peso nel futuro – i partiti che appoggiano il governo, da Ncd a Scelta civica (citofonare a Maurizio Lupi, a Beatrice Lorenzin, a Pietro Ichino, ad Andrea Romano), rispondono più al presidente del Consiglio che ai vertici del partito. Riconoscono che il presidente della Repubblica farà un passo di lato solo se avrà la certezza che Renzi non andrà al voto nella primavera del 2015. E poi naturalmente dicono che tutto dipenderà dal presidente del Consiglio, dalle alleanze che andrà a costruire, dal rapporto con Berlusconi, dall’evoluzione dell’Italicum. Renzi, già. Il Rottamatore in realtà non ha ancora un nome per il Colle. E’ convinto però che sarà questo Parlamento a scegliere il successore di Napolitano. E’ convinto che per il Quirinale non si possa ripetere l’errore fatto da Bersani nell’elezione dei presidenti do Camera e Senato (ovvero affidarsi ai signori della società civile, come Grasso e Boldrini). Condivide l’idea, fatta filtrare due giorni fa dallo stesso presidente della Repubblica, di immaginare una donna come successora del presidente (“Finora – ha detto il presidente della Repubblica durante una visita in una scuola romana – il presidente della Repubblica è stato sempre maschio, sono passati 65 anni e anche qualcosa di più da quando è stato eletto il primo quindi io penso che toccherebbe ad una donna, il più presto possibile”). E’ contento che Anna Finocchiaro, presidente della Commissione Affari costituzionali del Senato, persona che avrà un peso specifico importante a Palazzo Madama nel processo di riforma del Senato, si sia convinta che possa essere lei la donna giusta da candidare al Quirinale (non è così). Ma dovendo immaginare su due piedi quale potrebbe essere un volto femminile spendibile per quel ruolo non avrebbe grandi nomi. Solo una suggestione. Un nome a sorpresa. Un outsider politico (e non della società civile, come Elena Cattaneo). Un nome entrato nelle grazie sia del presidente della Repubblica sia degli osservatori americani: Roberta Pinotti, ministro della Difesa. Questo dunque il quadro. I movimenti sono molti. Le auto-candidature fioccano. Ed è vero: i tempi forse non saranno così brevi, Renzi avrebbe interesse a vedere ancora a lungo Re George al Quirinale. Ma la partita per il dopo Nap, forse con troppo anticipo, è cominciata davvero.

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.