L'idolo della curva a U

Paola Peduzzi

Dice che Thomas Piketty sbaglia i numeri, mena le fidanzate, scrive un libro che si chiama “Capitale” e Marx non l’ha mai letto (“Non ce l’ho mai fatta. Voglio dire, non so se tu ci hai provato. Ci hai provato? ‘Das Kapital’ è davvero difficile, e per me non era nemmeno così  influente”), cita Balzac e si confonde, produce 700 pagine di saggio (edizione inglese, la più venduta, in ristampa perenne, primo nella classifica di Amazon) riassumibile in tre caratteri, “r>g”, i redditi da investimenti crescono più veloci degli stipendi, cioè i ricchi saranno sempre più ricchi, vanno tassati senza pietà, non accetta le critiche (“non c’è nemmeno un errore”) e parla tantissimo.

    Dice che Thomas Piketty sbaglia i numeri, mena le fidanzate, scrive un libro che si chiama “Capitale” e Marx non l’ha mai letto (“Non ce l’ho mai fatta. Voglio dire, non so se tu ci hai provato. Ci hai provato? ‘Das Kapital’ è davvero difficile, e per me non era nemmeno così  influente”), cita Balzac e si confonde, produce 700 pagine di saggio (edizione inglese, la più venduta, in ristampa perenne, primo nella classifica di Amazon) riassumibile in tre caratteri, “r>g”, i redditi da investimenti crescono più veloci degli stipendi, cioè i ricchi saranno sempre più ricchi, vanno tassati senza pietà, non accetta le critiche (“non c’è nemmeno un errore”) e parla tantissimo. Ma Thomas Piketty è una rockstar, un superman dei decimali, un rubacuori, è riuscito a far comprare un libro a migliaia di persone che sanno già che non lo leggeranno mai, e Bloomberg Businessweek per celebrare la “Pikettymania” si trasforma in un Cioè con l’idolo della curva a U cosparso di baci, stelle, brillantini, molto rosa, cuori infranti – non abbiamo ancora perso la speranza di andare oggi all’edicola superfornita del centro e di trovare in allegato il poster.

    Innamorarsi di un economista quarantenne non è roba da ragazzine, ovvio, ma nemmeno un professore di Economia di Berkeley come Brad DeLong poteva immaginarselo, come ha detto a Megan McArdle, autrice dell’articolo sulla Pikettymania: “Pensavo che a Berkeley l’avremmo letto in tre”, e fa i nomi dei tre: se stesso, lo storico Barry Eichengreen e Christina Romer, ex capo dei consiglieri della Casa Bianca di Obama (quella che è quasi venuta alle mani con Lawrence Summers, anche lui consigliere. Lawrence Summers, avete presente? Quello che si addormenta sempre negli eventi pubblici, compresa la presentazione del libro di Piketty).

    Quando è stato pubblicato in Francia, “Le capital au XXIe siècle”, nell’agosto dell’anno scorso, non è stato quasi notato, e sì che Piketty era stato consigliere di Ségolène Royal, e sì che Piketty ha firmato una lettera pubblica con altri 41 economisti a sostegno dell’attuale presidente, François Hollande (o forse sarà proprio per questo?). Invece Paul Krugman, il Nobel dell’Economia del New York Times, l’ha lanciato e promosso, ha insegnato a tutti a pronunciare il nome nel modo corretto, e l’America è impazzita. Occupy Wall Street ha trovato quel leader che nell’affannarsi tra tende e birre e urla non era mai emerso, e la lotta alla diseguaglianza che sta tanto a cuore a Barack Obama ha trovato il suo testimonial. Quando Chris Giles, il capo dell’economia del Financial Times, una settimana fa ha pubblicato un articolo dettagliato in cui mostrava dati britannici che non combaciavano con quelli di Piketty, s’è gridato allo scandalo. Piketty non sbaglia, voi siete soltanto invidiosi, sputate numeri da una vita e nessuno si è accorto di voi. Oppure: ci possono essere anche alcuni errori, con tutti quei dati un’imprecisione ci sta, ma il risultato non cambia: chi ha i genitori ricchi potrà vivere di rendita e sarà comunque più ricco di chi lavora 12 ore al giorno e prende stipendi da schiavitù. Cosa sensata, in effetti, ma perché agitarsi tanto per una tassa globale mondiale che non si farà mai? Bastava la citazione, quella sì perfetta, di Jane Austen, o al limite una nonna come tante: per essere sicura, tesoro, sposa un uomo ricco.

    • Paola Peduzzi
    • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi