Presidenziali al Cairo

Storia dei corteggiatori internazionali del neo presidente al Sisi

Daniele Raineri

La vittoria dell’ex generale Abdel Fattah al Sisi alle presidenziali egiziane con il 97 per cento dei voti soddisfa un’ampia schiera di corteggiatori internazionali, pronti a salutare l’apertura di una nuova fase di stabilità nel paese (ancora da vedere) e a chiudere un occhio sulle violenze contro l’opposizione.

    La vittoria dell’ex generale Abdel Fattah al Sisi alle presidenziali egiziane con il 97 per cento dei voti soddisfa un’ampia schiera di corteggiatori internazionali, pronti a salutare l’apertura di una nuova fase di stabilità nel paese (ancora da vedere) e a chiudereun occhio sulle violenze contro l’opposizione. Il corteggiamento al nuovo presidente dell’Egitto unisce sotto uno stesso ombrello nazioni e leader che in teoria sono acerrimi nemici e si fanno la guerra, anche se soltanto per procura: Siria e Arabia Saudita, America e Russia, Israele e Iran. Ecco una ricognizione veloce.

    Il segretario di stato americano John Kerry disse già nell’agosto 2013 che “i generali stanno riportando la democrazia in Egitto” – era un mese dopo la cacciata del presidente dei Fratelli musulmani Mohammed Morsi. In autunno gli Stati Uniti congelarono una parte dell’aiuto militare ingente che il Cairo riceve ogni anno (l’Egitto è secondo nella classifica dei paesi appoggiati da Washington) come ammonimento, ma a marzo Kerry ha fatto capire che questa sospensione non deve essere considerata una cosa grave: “I generali devono aiutarci ad aiutarli, facendo alcune delle riforme di cui abbiamo parlato, riguardo il rapporto con la stampa, gli arresti e così via”. Le riforme non ci sono state, gli aiuti militari sono in parte ripresi ad aprile, quando l’America ha mandato dieci elicotteri da guerra Apache. Il capo del Pentagono, Chuck Hagel, negli ultimi dieci mesi ha costruito con al Sisi un rapporto personale, fatto di visite e di frequenti telefonate.

    L’empatia per il nuovo presidente è condivisa anche in Europa. Tony Blair, inviato speciale del Quartetto (Unione europea, Nazioni Unite, America e Russia) per il medio oriente, ha definito il momento della cacciata di Morsi da parte dei militari come “il salvataggio di una nazione” e l’Alto rappresentante dell’Unione europea per la politica estera, Catherine Ashton, avrebbe detto al generale Sisi durante la visita di aprile che la sua scelta di candidarsi “è coraggiosa”. Che abbia fatto veramente questo complimento è in dubbio, alcuni dicono che non l’ha mai detto, altri confermano. In generale, c’è apprezzamento discreto per la promessa di stabilità. Anche i sauditi sono soddisfatti: tre anni dopo la rivolta contro Hosni Mubarak, i Fratelli musulmani sono diventati fuorilegge (il regno detesta la Fratellanza e la considera un gruppo eversivo) e lo status quo sembra ripristinato.

    [**Video_box_2**]La posizione di Israele sul neo presidente egiziano è riassunta in un editoriale di marzo del quotidiano Yedioth Ahronoth: “Dovremmo pregare per la sua elezione. I suoi metodi sono lontani dall’essere democratici, ma se fallisce sarà un problema anche per Israele”. Al Sisi sembra in grado di garantire gli accordi di pace di Camp David tra i due paesi ed è un avversario duro di Hamas, al punto da avere ordinato l’allagamento di centinaia di tunnel di contrabbando con acqua di fogna e la sorveglianza con droni della Striscia di Gaza, per individuare bersagli in caso di una guerra.  Il governo di Gerusalemme temeva che l’Egitto dei Fratelli musulmani potesse trasformarsi in una gigantesca retrovia per i gruppi armati palestinesi, ora ha in Sisi un alleato per tenerli sotto controllo. Durante l’ultimo conflitto nella Striscia controllata dai palestinesi i ministri della Fratellanza entravano e si facevano fotografare negli ospedali di Gaza per solidarietà. Quel tempo sembra passato.

    La vendita di armi - La Russia – che a novembre ha annunciato accordi sulla vendita di armi – e la Siria del presidente Bashar el Assad vedono con favore l’ascesa del feldmaresciallo. A luglio 2013 i giornali scrissero che una delle linee rosse attraversate da Morsi, che fece infuriare i generali e portò alla sua deposizione, fu avere parlato in pubblico della necessità di un jihad egiziano contro Damasco. Al Sisi e i suoi considerarono malissimo l’incoraggiamento islamista alla rivoluzione. Dieci giorni prima di queste elezioni, il ministro degli Esteri, Nabil Fahmy, ha incontrato una delegazione dell’opposizione siriana selezionata con attenzione: c’erano Moaz al Khatib, Jihad Maqdissi, Haytham Manna, tutti secolaristi, nessun Fratello musulmano, e tutti contrari all’appoggio esterno ai gruppi ribelli o a un intervento internazionale contro Assad. Tra l’establishment damasceno e il nuovo potere in Egitto c’è una possibile intesa che potrebbe diventare cruciale nel prossimo futuro.

    • Daniele Raineri
    • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)