Divorziare a Teheran
Oltrepassata la soglia dei vent’anni ogni ragazza iraniana sa che l’orologio matrimoniale inizierà a ticchettare. I vicini ti guarderanno con occhi nuovi e le zie si riuniranno in segreti conciliaboli. Inizialmente con discrezione e poi con crescente e ostinata sollecitudine (i consulti diventeranno frenetici perché la ricerca del ragazzo giusto è un lotta contro il tempo: arriva sempre il momento in cui la fresca candidata si trasforma in una “dokhtar torshideh”, una zitella, letteralmente un sottaceto e, a quel punto, non c’è più niente da fare) le amiche di tua madre vorranno presentarti nipoti, cugini di secondo grado o figli dei loro vicini e il tutto avverrà secondo un infallibile algoritmo che misura fascino, grado di istruzione e compatibilità tra le famiglie.
Oltrepassata la soglia dei vent’anni ogni ragazza iraniana sa che l’orologio matrimoniale inizierà a ticchettare. I vicini ti guarderanno con occhi nuovi e le zie si riuniranno in segreti conciliaboli. Inizialmente con discrezione e poi con crescente e ostinata sollecitudine (i consulti diventeranno frenetici perché la ricerca del ragazzo giusto è un lotta contro il tempo: arriva sempre il momento in cui la fresca candidata si trasforma in una “dokhtar torshideh”, una zitella, letteralmente un sottaceto e, a quel punto, non c’è più niente da fare) le amiche di tua madre vorranno presentarti nipoti, cugini di secondo grado o figli dei loro vicini e il tutto avverrà secondo un infallibile algoritmo che misura fascino, grado di istruzione e compatibilità tra le famiglie.
Quando è stato il mio turno tornavo in Iran per la prima volta dalla rivoluzione: avevo ventisette anni e nessuna fede al dito. Ogni mattina a colazione mio zio mi ripeteva la stessa domanda: “Barname ci-e?”, qual è il programma? Si rabbuiava quando gli rispondevo che avrei lavorato e borbottava: “Una ragazza è un fiore che ha bisogno di cure, studiare fa bene, ma questo lavoro ti consuma”. Alle cene di famiglia (famiglia che i giornalisti stranieri definirebbero “occidentalizzata”) c’era sempre qualcuno pronto a presentarmi “una persona interessantissima per il tuo articolo”, o una zia a cui casualmente era scivolata nella borsa la foto del figlio della sua più cara amica. Al parrucchiere una signora mi ha invitata a considerare la possibilità di sposare un ragazzo che “avrebbe potuto portarmi in America” e una vigilante della polizia morale si è offerta di sistemarmi con suo fratello dopo avermi strattonato e insultato per alcuni interminabili minuti. Tutto era contro di me: un padre straniero, un antiquato farsi pre-rivoluzionario e uno strano cognome che mi costringeva a giurare a intervalli regolari di non essere una spia – eppure, dieci anni fa, una mano nuda faceva ancora un certo effetto. Persino una custode dell’ortodossia rivoluzionaria poteva sciogliersi in un moto di solidarietà femminile alla vista della ragazza avviata a diventare un sottaceto. Chissà se di questi tempi la vigilante sarebbe altrettanto generosa : a 27 anni in Iran non si è più tecnicamente zitelle e, fatto ancora più sconcertante, cresce il numero delle donne che rifiutano la caccia all’uomo giusto.
A gennaio mio cugino, 21 anni appena compiuti ha comunicato a tutti la lieta novella: si sarebbe sposato presto, prestissimo entro l’estate. Lui e la futura sposa sono fidanzati da sei anni, le famiglie si conoscono e approvano il loro amore. La reazione all’annuncio però è stata strana. “Perché?”, ha chiesto mia zia (a suo tempo sposa a 16 anni), “siete ancora dei bambini”. Perché – hanno chiesto i compagni di università – avete genitori comprensivi e dovete ancora finire gli studi? Perché sposarsi – hanno domandato in tanti – quando potreste convivere?
In Iran l’età media per un matrimonio si è sensibilmente alzata. Gli uomini si sposano a 28 anni, le donne tra i 24 e i 30 (cinque anni più tardi rispetto a dieci anni fa). Secondo il Centro statistico iraniano un terzo delle donne e metà degli uomini tra i 20 e i 34 anni non sono ancora sposati e il 40 per cento della popolazione adulta è single. I numeri relativi al divorzio sono impressionanti: 50 mila nel 2000, 150 mila nel 2010. Secondo dati ufficiali diffusi nel 2013 un matrimonio su 5 finisce con un divorzio (uno su tre nelle grandi città) già nei primi quattro anni. Il clero ha fustigato questa deriva – “un male più oscuro della droga e più dannoso della prostituzione” – puntando il dito di volta in volta contro le mollezze dei riformisti, le soap opera turche, i libri proibiti, Farsi 1 e Manoto tv, internet, le pop star, i social network, i rapper e naturalmente le “arroganti potenze occidentali”. “I giovani che non sono sposati sono nudi, il matrimonio è come un vestito divino che li copre”, ha ammonito l’ayatollah Kazem Saddighi. Ma quali che siano i colpevoli, gli iraniani nudi non paiono intenzionati a rivestirsi.
Il quotidiano Ebtekar ha pubblicato un’inchiesta sul fenomeno delle “coppie senza documenti”, ossia non sposate e l’ultra-conservatore Jomhouri Eslami ha sermoneggiato contro la moda delle feste di divorzio. “Vanno dai fioristi e ordinano bouquet di rose nere poi si fanno stampare inviti per gli ospiti con frasi come ‘Non mi manchi per niente’ (che è il ritornello di un tormentone Persian pop, ndr)”. I nostri giovani sono superficiali e viziati ha scritto un editorialista dello stesso giornale, “la società iraniana è sotto attacco”.
Per arginare questo crollo verticale dei costumi c’è chi ha suggerito di istituire un dicastero ad hoc per i matrimoni e i divorzi. Secondo Mahmoud Ghozari, viceministro dello Sport e dell’istruzione e ispiratore della proposta, le crisi coniugali dei cittadini iraniani sono legate all’ignoranza. “I ragazzi sono impreparati. Vanno vaccinati dalla superficialità imperante”. Il volonteroso Ghozari è stato messo alla berlina per settimane, ma non è certo stato l’unico a occuparsi dei problemi di cuore degli iraniani. Il primo a pensarci alla fine degli anni Novanta fu l’allora presidente Mohammed Khatami che lanciò la politica dei matrimoni low cost (ai fidanzati nelle università fu distribuito un numero simbolico di monete d’oro), un tema successivamente cavalcato con esiti altrettanto deludenti dal successore Mahmoud Ahmadinejad. Sposarsi in Iran costa caro: a Teheran servono in media più di 30 miliardi di rial (circa 30 mila dollari), una fortuna se si considera che uno stipendio normale si aggira intorno ai 400 dollari. Pesano in maniera determinante il costo di un appartamento e la dote della sposa e molti giovani preferiscono aspettare pur di non indebitarsi o mandare in rovina la famiglia, una prospettiva tutt’altro che peregrina stando alla frequenza con cui le cronache registrano i patti faustiani di genitori che ipotecano la casa o vendono un rene pur di evitare il disonore, l’aberoorizi, di non aver offerto ai figli un matrimonio all’altezza.
[**Video_box_2**]Ahmadinejad propose agli studenti matrimoni di massa per tagliare i costi e una delle prime misure varate dopo la sua elezione fu lo stanziamento del “Fondo dell’amore dell’Imam Reza”: più di un miliardo di dollari in sussidi alle giovani coppie in cerca di casa e di un lavoro. Ma la cura non ha funzionato. “Invece di rendere il matrimonio una prospettiva più attraente lo hanno trasformato in un fast food”, ha detto al New York Times il sociologo Mohammed Amin Ghaneirad, presidente dell’Associazione dei sociologi iraniani. “La solennità del gesto è stata snaturata, così sposarsi equivale a sottoscrivere un accordo che può essere sciolto con la stessa facilità con cui è stato sottoscritto”. Un altro coniglio tirato fuori dal cilindro di Ahmadinejad è stato il piano di edilizia popolare Mehr, un progetto pensato per contrastare gli effetti dirompenti del boom immobiliare (tra il 2006 e il 2008 i prezzi degli immobili sono raddoppiati a causa delle dissennate politiche economiche del presidente-pasdaran e per i giovani alla ricerca della prima casa è stata una catastrofe), ma è stato un ennesimo fallimento. Nella primavera del 2008 il governatore del Khorasan settentrionale ha suggerito al governo di non assumere più scapoli e una proposta simile è stata avanzata da un funzionario della Pars Oil & Gas, non se ne è fatto nulla e le autorità registrano con orrore l’aumento delle convivenze.
In Iran un uomo e una donna che non sono sposati non possono nemmeno tenersi per mano in un parco, figurarsi vivere insieme. “Eppure, soprattutto nelle grandi città accade”, ha confermato all’Ilna Morteza Talaee. ex capo della polizia e attuale presidente della commissione socioculturale di Teheran. Accade, spiega al Foglio Shirin, “perché in Iran ci sono così tante regole che a seguirle tutte non si riuscirebbe più a respirare. Proviamo a fare come ci pare e nascondiamo le tracce”. Shirin insegna francese e vive con il fidanzato da tre anni. Non è stato facile convincere i suoi genitori, per quasi un anno ci sono stati sguardi torvi, “ma sottolineare la mia età e il fatto che economicamente non avrei più pesato su di loro ha aiutato”. Shirin e l’amato si sono comprati due fedi a buon mercato e le hanno indossate agli appuntamenti con gli agenti immobiliari. Sono stati discreti ed evasivi con i vicini e i padroni di casa. Ogni tanto si sentono spiati, forse qualcuno dubita di loro o forse hanno solo paura di essere scoperti. Mohammad-Reza, un ricercatore intervistato da al Monitor, lavora da qualche anno a uno studio sulle coppie conviventi. Doveva essere la sua dissertazione di dottorato, ma non lo sarà, l’università non può avallarla perché l’argomento è ancora tabù. “E’ un fenomeno nuovo in Iran che coinvolge gli universitari e soprattutto le coppie omosessuali ed eterosessuali tra i 30 e i 40 anni. Anch’io vivo con la mia fidanzata da alcuni anni” .
C’è tuttavia un altro sviluppo accanto a quello delle peccaminose convivenze a turbare i sonni dell’ayatollah Khamenei: non solo gli iraniani hanno poca voglia di sposarsi, ma hanno anche molta meno voglia di far figli. Secondo una ricerca condotta dal quotidiano Etemaad, le coppie iraniane pensano poco a procreare e se lo fanno vogliono un figlio unico. La tendenza unisce uomini e donne della borghesia, di città e di campagna, bazaari e pasdaran, poveri e ricchi, laureati e semi-analfabeti, iraniani accomunati solo dal fatto di essere figli del baby boom, ragazzi nati nell’intervallo tra due ambiziosi programmi di pianificazione familiare, quello dello scià prima e quello della Repubblica islamica poi. Nel 1979 il 37 per cento delle iraniane utilizzava i contraccettivi, l’ayatollah Khomeini inizialmente non intervenne, aveva altre priorità, ma la guerra con l’Iraq cambiò tutto. L’ufficio per la Pianificazione familiare fu chiuso e il rahbar invocò l’amor patrio di tutte le donne fertili per costruire un “esercito di venti milioni di uomini”. In poco più di un decennio la popolazione passò da 34 a 62 milioni di iraniani (nel 1986, sette anni dopo la rivoluzione, la popolazione iraniana cresceva con un ritmo del 3 per cento all’anno). Tuttavia, alla fine degli anni Ottanta, la Repubblica islamica si persuase che quei livelli di crescita non fossero sostenibili e fece marcia indietro, ampliando l’offerta dei consultori, offrendo contraccettivi e vasectomie gratuite. Negli anni Novanta la famiglia media era passata da 6 a 2 figli, nel 2006 il tasso di natalità si è attestato sull’1,9 per cento e negli ultimi anni è sceso ancora.
In un discorso pronunciato il 6 agosto del 2012 l’ayatollah Khamenei ha annunciato agli iraniani un radicale cambio di rotta: “L’Iran conta oggi 75 milioni di persone, ma credo che il nostro paese abbia i mezzi per sostenere 150 milioni di abitanti. Credo in una popolazione numerosa. Nessuna misura atta a controllare le nascite dovrà essere utilizzata prima che l’Iran abbia raggiunto questa meta”. Il rahbar si è convinto che per aumentare il suo peso geopolitico l’Iran debba aumentare quello demografico. Lo stesso anno ha abolito un programma per la pianificazione familiare da 15 miliardi di dollari e da allora va ripetendo agli iraniani che i figli sono il futuro.
Secondo il Telegraph 150 mila funzionari del ministero della Salute sono stati mobilitati per persuadere gli iraniani che i figli unici sono bambini infelici oltre che un cattivo servizio alla nazione. Nelle università sono stati introdotti corsi sull’incremento demografico, poster e murales inneggiano alla sacralità del rapporto madre-figli. E tuttavia, a dispetto dei mezzi dispiegati da Khamenei gli esperti sono scettici sul successo del nuovo baby boom. Gli iraniani – sostengono – si sono abituati ad avere il controllo della loro vita sessuale e riproduttiva e ripiegheranno sul settore privato pur di conservare i diritti acquisiti. Farzaneh Roudi-Fahimi, direttrice del Population Reference Bureau per il medio oriente ed il Nordafrica di Washington D.C. sottolinea che il 74 per cento delle donne sposate in Iran praticano una qualche forma di pianificazione delle nascite che si tratti di contraccezione o sterilizzazione maschile, “difficilmente piegheranno il loro stile di vita ai diktat di Khamenei”.
Mentre il regime avvolge e riavvolge il nastro del suo Truman Show, in Iran cambiano abitudini e sensibilità. Un tempo le donne divorziate erano condannate all’emarginazione: tornavano nella casa paterna e rimanevano nascoste nelle stanze che avevano abitato da bambine. Se qualcuno le intravedeva i familiari spiegavano che il marito era in viaggio e che la visita era temporanea. Come recita il detto persiano una donna entrava nella casa del marito con un vestito bianco e usciva altrettanto candida il giorno del suo funerale. Non è più così, nemmeno negli ambienti più tradizionali. Nazanin per esempio ha raccontato al Christian Science Monitor quanto sia cambiato il suo status tra il suo primo e il suo secondo divorzio. “Nell’85 ero un’ombra. Ora sono tutti più neutri. E’ una cosa normale divorziare”.
Nel frattempo le figlie del baby boom non hanno più paura di vivere da sole. “Quando mia madre era giovane l’unica misura del successo di una donna era trovare un buon partito e avere dei figli, non è più così”, ha raccontato Shoufoukeh a Thomas Erdbrink del New York Times. Ha trent’anni, la sua priorità è la laurea e la ricerca di un buon lavoro. Divide un appartamento con una coinquilina, anche loro hanno usato lo stratagemma di una fede di convenienza: ai curiosi recitano la stessa storia: sono sposate e si sono trasferite a Teheran per proseguire gli studi. Gli agenti immobiliari ci credono o fanno finta di crederci. In Iran bisogna sapere navigare il sistema, è un paese di maestri nell’arte della dissimulazione. Per i single lo sforzo deve essere doppio o triplo. Agli occhi del regime uomini e donne giovani e non sposati rappresentano una pericolo, un esercito corrotto e lascivo. “La bomba sessuale che ci minaccia – ha detto Mohammed Javad Hajii Ali Akbari, presidente dell’Organizzazione Nazionale della Gioventù – è più pericolosa delle bombe e dei missili dei nostri nemici”. Un tempo una donna sola era immediatamente sospettata di essere “moralmente corrotta”, ma oggigiorno i giudizi, nelle grandi città non sono più così netti”. Forse perché tutti abbiamo qualcosa da farci perdonare – dice Shoufoukeh – E allora scegliere di essere o non essere qualcosa o qualcuno, moglie o madre, scienziata o casalinga sembra un sogno accessibile”. Scegliere in Iran è un lusso che si conquista in silenzio giorno per giorno e le campagne mediatiche sul velo – da My Stealthy Freedom a Say No to Mandatory Hijab Campaign – sono solo la punta dell’iceberg. C’è una goccia cinese molto più dirompente di un hashtag che scava nel cuore del regime.
Il Foglio sportivo - in corpore sano