Speciale online 15:50
Il Giro di Quintana e del risorgimento azzurro
In 97 edizioni non era mai successo. Nairo Quintana è il primo vincitore del Giro d’Italia sudamericano. Colombiano. Rigoberto Uran secondo in classifica. Colombiano anch’esso. Colombia. Prima volta assoluta. Un tempo terra di scalatori buoni per giornate di gloria momentanea, di imprese a lunga gittata tra le vette alpine o appenniniche, di uomini da una tappa e via, da maglia verde (ora azzurra) al massimo, ora nuova terra di gente da classifica, di interpreti raffinati delle tre settimane.
In 97 edizioni non era mai successo. Nairo Quintana è il primo vincitore del Giro d’Italia sudamericano. Colombiano. Rigoberto Uran secondo in classifica. Colombiano anch’esso. Colombia. Prima volta assoluta. Un tempo terra di scalatori buoni per giornate di gloria momentanee, di imprese a lunga gittata tra le vette alpine o appenniniche, di uomini da una tappa e via, da maglia verde (ora azzurra) al massimo, ora nuova terra di gente da classifica, di interpreti raffinati delle tre settimane.
Il Giro 2014 il giorno dopo della conclusione in pompa magna e in volata a Trieste viene archiviato; si traggono le conclusioni, si guarda al futuro. E’ stato il giro dei colombiani, primo e secondo nella generale oltre a 4 vittorie, una di Rigoberto Uran e Julian Arredondo, due di Nairo Quintana; quello della meglio gioventù italiana alla ribalta, tanto per dare un segnale al partito del “solo Nibali, il resto è notte fonda”; quello della maturazione di Diego Ulissi, uomo da classiche sicuramente, da corse a tappe chissà e dell’esplosione di Fabio Aru, nome nuovo del ciclismo italiano che vuole riprendersi il palcoscenico delle grandi corse di tre settimane; quello di Canola, Battaglin, Pirazzi e tutta la Bardiani sempre all’attacco e tre volte vincente; quello degli sprint di Kittel, prima, e Bouhanni, poi; quello del declino, più o meno evidente, di vecchi campioni delle corse a tappe e del battesimo di fronte al grande pubblico dei nuovi volti, anche se questa è storia di ogni edizione, ciclica e inevitabile come il Giro a maggio.
Ogni archiviazione però coincide con un giudizio. Ecco dunque promossi e bocciati della corsa rosa:
Fabio Aru, voto 9,5: 24 anni da compiere, secondo anno da professionista, terzo nella classifica generale e una vittoria. Basterebbe questo, ma è altro a stupire di questo ragazzo. Solidità mentale, maturità fuori dalla norma soprattutto nella gestione delle energie, senso tattico e tenacia. Inoltre scatto e coraggio. In salita è riuscito a mettere in difficoltà tutti: nei prossimi anni potrebbe essere l’uomo di punta del nostro movimento. Con Nibali ovviamente.
Pierre Rolland, voto 9: non ha vinto, non è salito sul podio, ma è sempre stato all’attacco. Tra tanti mezzi uomini del pedale, uno che non ha paura di niente. Piuttosto salta, ma non si tira mai indietro.
Bardiani, voto 9: tre vittorie con Canola, Battaglin e Pirazzi. E’ una microsquadra (finanziariamente) ha corso all’attacco, meglio degli squadroni da milioni e milioni di euro. Ciclismo vecchia maniera sul trono.
[**Video_box_2**]Nairo Quintana, voto 9: ha vinto due tappe, quella con l’arrivo in Val Martello e la cronoscalata, e il Giro. Era il favorito della vigilia e ha mantenuto i pronostici, cosa mai banale. Ha vinto di forza e d’astuzia, annichilendo (quasi) tutti sul Grappa e sfruttando la confusione generale in cima allo Stelvio quando ha attaccato in discesa tra neve e freddo; eccezionale, certo, scaltro e intelligente, senz’altro, ma emozionare è altra cosa. E il ciclismo, al meno un tempo, era anche e soprattutto questo.
Diego Ulissi, voto 9: due vittorie di potenza e agilità su arrivi in salita, sempre allo sprint. Per quasi metà giro nelle zone alte della classifica, una cronometro eccellente, poi le cadute e la flessione. Sarà con ogni probabilità la nostra punta ai Campionati del Mondo. Se lo merita.
Marcel Kittel e Nacer Bouhanni, voto 9: i migliori allo sprint. Il primo potente e letale con sul rullino di marcia due successi su due, il secondo scaltro e funambolico, tre vittorie e maglia rossa. Due volti per una stessa professione, lo sprint.
Michael Rogers, voto 8,5: non ci doveva nemmeno essere, se ne ritorna a casa con due vittorie, la prima, a Savona, da furbo volpone del gruppo, la seconda di resistenza, sullo Zoncolan.
Julian Arredondo, voto 8: tatticamente una frana, ma in salita va come pochi. Ha conquistato la maglia azzurra dei Gpm (un tempo era verde e verde dovrebbe esserlo ancora), ha vinto la tappa dolomitica dopo una fuga lunga un giorno. Coraggio e incoscienza, uno dei pochi colombiani rimasti colombiani. Chapeau.
Rigoberto Uran, voto 8: lo ricordavamo all’attacco, generoso, a volte sfrontato, l’abbiamo visto a questo Giro, più calcolatore, più attento, maturato dal ruolo di capitano unico. Secondo in generale e una vittoria, a cronometro, con la sensazione che con un'altra preparazione avrebbe potuto intimorire di più il connazionale.
Cadel Evans, voto 7,5: ottavo in generale e quattro giorni in rosa. A 37 anni non si può chiedergli di più. Un cagnaccio che non molla mai.
Michael Matthews, voto 7,5: sprinter di professione, sei giorni in rosa consecutivi, record australiano, e una vittoria in salita, a Montecassino. Sino a quando è rimasto in gara, quasi perfetto.
Andrea Fedi e Marco Bandiera, voto 7: 608 chilometri in fuga per il primo, 504 per il secondo. Vittorie zero, piazzamenti, zero. Non importa, il ciclismo non è solo ordine d’arrivo, è soprattutto follia e fuga. W la fuga.
Domenico Pozzovivo, voto 7: alla fine si piazza quinto dopo una seconda settimana da primattore e una terza in vistoso calo. Bravo, ma se avesse osato di più…
Rafal Majka e Wilko Keldermann, voto 7: giovani e interessantissimi. Sesto e settimo nella generale, a volte all’attacco, molte volte sulla difensiva, bravi in tutto, eccellenti in niente.
Ryder Hesjedal, voto 6: ci crede, non molla mai, alla fine è nono e senza i tre minuti persi nella cronometro a squadre, sarebbe stato settimo. Il suo Giro onesto e laborioso l’ha fatto. Ma guardarlo pedalare è una pena stilistica.
Ivan Basso, voto 5,5: non è n bollito come in tanti avevano pronosticato alla vigilia, ma non è più un credibile pretendente alle prime posizioni. Si è difeso con intelligenza, è crollato per il freddo sullo Stelvio, ha provato ad attaccare da lontano sulle Dolomiti. 15° in generale. Niente di che.
Elia Viviani, voto 5: piazzato molte volte. Basta. Ha le capacità per vincere ma non le hai dimostrate. Poi le cadute, scusante certo, ma manca lo spirito da leone.
Nicolas Roche, voto 5: si partiva dalla sua terra. Fuori classifica subito, poi alla ricerca della vittoria post fuga. Il risultato è stato un pugno di mosche.
Damiano Cunego, voto 3,5: diciannovesimo in generale, qualche volta all’attacco, ma quando c’era da provare a fare la differenza lui spariva. Un buon corridore, un tempo, eclissato.
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