Pennsylvania Avenue

Obama usa l'ideologia “verde” per rilanciare il commercio

Domenico Lombardi

Al vertice dei paesi industrializzati del G7 che si aprirà domani a Bruxelles, il presidente americano Barack Obama si presenterà con un importante pacchetto di misure, che la Casa Bianca ha reso noto ieri, per limitare le emissioni di diossido di carbonio nell’atmosfera delle proprie centrali energetiche. Il cuore della proposta, anticipata ieri dal Wall Street Journal, sta nell’intenzione di ridurre del 30 per cento la quantità di CO2 rispetto ai livelli raggiunti nel 2005.

    Al vertice dei paesi industrializzati del G7 che si aprirà domani a Bruxelles, il presidente americano Barack Obama si presenterà con un importante pacchetto di misure, che la Casa Bianca ha reso noto ieri, per limitare le emissioni di diossido di carbonio nell’atmosfera delle proprie centrali energetiche. Il cuore della proposta, anticipata ieri dal Wall Street Journal, sta nell’intenzione di ridurre del 30 per cento la quantità di CO2 rispetto ai livelli raggiunti nel 2005. Gli esperti ipotizzano che le centrali interessate saranno soprattutto quelle a carbone, da chiudere o da rendere più efficienti. Non è secondario il fatto che gli Stati Uniti possono contare sulla rivoluzione dello “shale gas”, il gas estratto dalle rocce profonde, che consente loro di ambire all’indipendenza energetica dai paesi produttori di petrolio. Divulgate immediatamente a ridosso del primo vertice del G7 ospitato e organizzato dall’Unione europea – e non da un paese membro –, tali misure sono in linea con la “piattaforma ambientalista” con cui il presidente americano è stato eletto e rieletto. Misure che – viste da Washington – presentano il fondamentale pregio di essere gradite all’opinione pubblica europea. Eppure la tempistica, la determinazione, e, infine, la rapidità con cui lo Studio ovale ha dato la sua benedizione in questi giorni meritano qualche spiegazione.

    Tali misure sono l’esempio di una più ampia controffensiva che l’Amministrazione sta sferrando per rafforzare l’iniziativa del presidente, la cui statura è stata pesantemente compromessa dalle crescenti tensioni con il Congresso e di cui il recente, deludente, viaggio in Asia fornisce un’ulteriore conferma agli osservatori. Il  viaggio di Obama era infatti stato concepito per rivitalizzare le prospettive per la Trans Pacific Partnership (Tpp), di cui Washington intende rappresentare l’attore chiave. Il progetto prevede una grande area di cooperazione commerciale ed economica fra dodici economie dell’Asia-Pacifico – esclusa la Cina – che costituiscono il 40 per cento del pil mondiale, un terzo dei flussi di commercio internazionale e mezzo miliardo di potenziali consumatori. Lanciato dall’Amministrazione americana nel 2010, il Tpp avrebbe dovuto ricevere una importante accelerazione con la visita del presidente a Tokyo per firmare la bozza di un’intesa bilaterale. A sua volta, tale bozza, avrebbe dovuto catalizzare l’interesse degli altri membri così che potessero aggregarsi attorno al “nocciolo duro” costituito dall’asse nippo-americano, cioè alle due più importanti economie della futura area di libero scambio. Questo, almeno, secondo i piani dello Studio ovale, perché le autorità giapponesi hanno invece deciso per una battuta di arresto nei negoziati. Le aspettative della Casa Bianca sono quindi rimaste  deluse, cosa che ha creato non poco imbarazzo a Washington.
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    Tutto nasce dalla decisione presa a Pennsylvania Avenue di non richiedere al Congresso la Trade Promotion Authority (Tpa), cioè una corsia preferenziale per negoziare i trattati commerciali con altri stati. Scelta che ha indotto le autorità nipponiche alla prudenza, nel timore che l’intesa bilaterale diventasse in seguito ostaggio di un Congresso con cui l’Amministrazione Obama ha già mostrato di avere non pochi problemi a relazionarsi. Per la verità i repubblicani centristi avevano segnalato al presidente la disponibilità a garantire un voto bipartisan sulla liberalizzazione degli scambi commerciali; tema su cui i repubblicani mediamente tendono a sentirsi più a loro agio dei loro colleghi democratici.
    Tali aperture, tuttavia, venivano respinte al mittente: la Casa Bianca temeva che dal voto bipartisan potessero emergere una serie di franchi tiratori all’interno del partito democratico; aspetto particolarmente imbarazzante a ridosso delle elezioni congressuali del prossimo autunno. La strategia era, e rimane, di aspettare l’esito delle elezioni per poi chiedere il voto congressuale sulla Tpa. Voto che potrebbe essere comunque favorevole ai desiderata della Casa Bianca, sia che vincano i repubblicani – già potenzialmente disponibili a una collaborazione bipartisan – sia che vincano i democratici che, per quanto riluttanti alla liberalizzazione degli scambi, potrebbero concedersi più facilmente una volta passate le elezioni. Nonostante ciò, a fronte dell’inattesa battuta di arresto sulla piattaforma asiatica, la tattica di Washington cambia e si concetra sulla Transatlantic Trade and Investment Partnership (Ttip) tesa a creare un’altra grande area di libero scambio, in questo caso con l’Unione europea.

    Facendo leva sul comune attrito con la Russia, determinatosi in seguito alla crisi diplomatica ucraina, l’Amministrazione sta orientando nuovamente i propri sforzi verso i partner europei. Se il faticoso accordo commerciale con  l’Ue dovesse riuscire ad avere successo, gli Stati Uniti riuscirebbero a conseguire due obiettivi in solo colpo: metterebbero un’enorme pressione sulla Cina, concordando un serie di standard di fatto mondiali in settori come manifatturiero e servizi. E, allo stesso tempo, imprimerebbero un colpo d’acceleratore sull’accordo commerciale nell’area asiatica, stimolando peraltro l’interesse degli altri potenziali membri affinché s’accodino finalmente all’ambizioso progetto per non rimanere di fatto esclusi da importanti mercati. Forte dell’intesa di massima che gli Stati Uniti sperano di raggiungere con i partner europei, Obama richiederebbe poi al nuovo Congresso l’autorizzazione per assicurare una corsia preferenziale per l’approvazione del trattato, che di fatto sarà già  negoziato. Per fare tutto ciò, occorre però ripartire dall’Europa e gli incontri riservati a margine del summit di domani forniranno una prima indicazione al presidente sulla fattibilità della sua nuova tattica.