Quel missile “terra-aria” che divide i sindacati di Alitalia
Dopo oltre dieci mesi di incontri e colloqui vari, passate le elezioni europee, è arrivata la lettera con cui Etihad intende avviare trattative esclusive per acquisire una quota di Alitalia e salvarla dalla bancarotta; il cda ne discuterà venerdì prossimo. Il governo ha salutato l’intesa tra le fanfare, i sindacati invece già mugugnano e chiedono all’esecutivo di tamponare le conseguenze degli esuberi richiesti dal vettore degli Emirati arabi uniti.
Dopo oltre dieci mesi di incontri e colloqui vari, passate le elezioni europee, è arrivata la lettera con cui Etihad intende avviare trattative esclusive per acquisire una quota di Alitalia e salvarla dalla bancarotta; il cda ne discuterà venerdì prossimo. Il governo ha salutato l’intesa tra le fanfare, i sindacati invece già mugugnano e chiedono all’esecutivo di tamponare le conseguenze degli esuberi richiesti dal vettore degli Emirati arabi uniti. Secondo diverse fonti, nella lettera non vincolante – arrivata domenica sera appena dopo l’annuncio che “le due compagnie aeree procederanno alla preparazione della documentazione finale per completare l’operazione” – gli esuberi del personale andranno dai 2.500 ai 2.600 su 12.000 lavoratori totali (secondo le prime indiscrezioni Etihad ne chiedeva invece almeno 3.000). A differenza del 2008, quando le intransigenze sindacali fecero saltare l’acquisizione da parte di Air France-Klm, ora i sindacati sembrano più accondiscendenti. Sarà per la rottura impressa dal premier Matteo Renzi ai meccanismi concertativi. Sarà perché Etihad è l’unica alternativa al fallimento. Oppure sarà perché gli interessi dei lavoratori del settore “volo” e del settore “terra” questa volta sono divergenti. Gli assistenti di volo – iscritti per la maggioranza ai sindacati autonomi Anpav, Avia – e i piloti – in quota Anpac e Uil – si presume saranno i meno colpiti dagli esuberi: hanno più mercato, maggiore capacità di trovare impiego presso Etihad o le sue controllate e per lavorare anche, ma non solo, sui tre nuovi Airbus 330 in arrivo dall’anno prossimo. Di contro, i dipendenti di terra (amministrativi, hostess dei check-in, manutentori) sono per la maggioranza iscritti a Cisl e Cgil (1.800 in tutto) e sono difficili da ricollocare. Non a caso Raffaele Bonanni della Cisl pur esprimendo “soddisfazione” per l’accordo in fieri con il colosso degli Emirati, ieri è tornato a chiedere al governo un’attenzione particolare verso questa categoria, fino a minacciare di respingere l’intesa: un déjà vu dal 2008 che, però, lo vede procedere da solo. “Se saranno 2.600, noi diciamo no”, ha detto al Secolo XIX, salvo poi correggere il tiro con un “non chiuderemo la porta, ma non diremo sì a qualsiasi condizione”.
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La richiesta è quella di “un aiuto da parte del governo” – che fu generoso nel 2008 con la cassa integrazione per quattro anni, più tre di mobilità, per 7 mila dipendenti. Per ora si parla di ammortizzatori vari come contratti di solidarietà, cassa integrazione a rotazione, rifinanziamento del fondo per il trasporto aereo (pagato dai vettori, dai dipendenti e dai passeggeri), o un contributo dell’Inps non meglio specificato, ipotizzato dalla Uil. Il silenzio della Cgil di Susanna Camusso ha invece colpito alcuni osservatori. Silenzio in parte spiegato da una partita interna al sindacato che vorrebbe promuovere, in solitaria rispetto alle altre sigle, un contratto di settore a livello nazionale da fare prevalere su quello vigente, con poche chance di successo. Certo è che per una compagnia d’élite come Etihad, guidata da blasonati manager di stampo anglosassone reclutati in Australia, risulta inaccettabile vedere che in Alitalia il rapporto tra il personale impiegato per ogni aeroplano è quasi triplo rispetto ai suoi standard. Curioso infine il parallelismo con Air France, l’eterno partner di Alitalia che ieri ha fatto buon viso all’accordo con gli emiratini. Le otto sigle sindacali si sono unite – il che “può suonare strano”, scriveva la Tribune – per chiedere al ministro degli Interni, Manuel Valls, misure urgenti per rivedere la tassazione sul costo del lavoro e soprattutto per limitare la concorrenza dei vettori del Golfo: “Non vogliamo ritrovarci nella situazione di Alitalia o di Air France nel 1993”, hanno scritto in una lettera congiunta dell’aprile scorso.
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