L'italiana che femmineggia

Camillo Langone

Tony Bennett dice che Chiara Civello è la migliore cantante jazz della sua generazione. E tutti a ripeterlo a pappagallo, perché è facile da ricordare, perché suona bene, perché c'è scritto pure su Wikipedia. Ci vuole molto tempo per ascoltare anche solo i brani più significativi di Lalah Hathaway, Norah Jones, Jane Monheit, Madeleine Peyroux, oltre che ovviamente di Diana Krall, si fa prima a pensare che il vecchio crooner sia la bocca della verità o almeno Frank Sinatra. Questo non è l'inizio migliore per un pezzo in cui mi propongo di elogiare sfrenatamente Chiara Civello e il suo ultimo disco, me ne rendo conto.

    Tony Bennett dice che Chiara Civello è la migliore cantante jazz della sua generazione. E tutti a ripeterlo a pappagallo, perché è facile da ricordare, perché suona bene, perché c'è scritto pure su Wikipedia. Ci vuole molto tempo per ascoltare anche solo i brani più significativi di Lalah Hathaway, Norah Jones, Jane Monheit, Madeleine Peyroux, oltre che ovviamente di Diana Krall, si fa prima a pensare che il vecchio crooner sia la bocca della verità o almeno Frank Sinatra. Questo non è l'inizio migliore per un pezzo in cui mi propongo di elogiare sfrenatamente Chiara Civello e il suo ultimo disco, me ne rendo conto. Però mi serviva per dire che è sciocco mettersi a fare graduatorie: a gorgheggiare, le succitate sono capaci tutte, mentre è nel femmineggiare che l'italiana non ha rivali. “Canzoni” forse non è proprio un disco jazz, magari non è nemmeno un bel disco (i responsabili dei suoni, Nicola Conte ed Eumir Deodato, hanno dato il meglio rispettivamente negli anni Zero e, addirittura, negli anni Settanta). Ma è un potentissimo promemoria musicale dell'amore fisico e questo ci vuole alle soglie dell'estate 2014. Le diciassette canzoni di “Canzoni” fanno parte del repertorio della canzone italiana classica, Morricone, Buscaglione, Gino Paoli, Paolo Conte, ovviamente Mogol-Battisti, perfino Jimmy Fontana, i campioni di un'epoca in cui la canzone italiana era la colonna sonora di Eros. Se mi chiamassero a fare il consulente musicale per un film con uomini e donne che nell'Italia di oggi si cercano, e si trovano, fuggirei il tanto intenso, tanto mesto nostro nuovo cantautorato (un nome su tutti: Le luci della centrale elettrica), e metterei Jon Hopkins, Nine Inch Nails, Black Keys. Oppure chiamerei Chiara Civello: le basta un accenno di sorriso, una ripresa di fiato, per trasformare il brano più innocuo in un afrodisiaco da assumersi sotto controllo medico. Perché ha la voce più allusiva della sua generazione, ecco un primato indubitabile della cantante nata a Roma, dato insignificante siccome un mucchio di gente nasce a Roma, però siciliana di Modica, anagrafe molto più interessante per la sensualità e la preziosità di una piccola città di chiese barocche e cioccolata sabbiosa. Chissà perché la Val di Noto, che dell'Italia è la fine, ha prodotto così tanta bellezza così tipicamente italiana e penso a Loredana Cannata, Anna Valle, Rosalba Misseri, Valeria Solarino, Margareth Madè (che chiaramente si chiama Margherita Maccarrone). Fra queste, la bellezza più italiana di tutte è proprio quella della Venere di Modica, incontaminata da esotismi. So che il popolo italiano è frutto di innumerevoli mescolanze (l'ho letto anch'io Cavalli-Sforza) ma constato che esiste un fenotipo per così dire baricentrico, una combinazione peculiare di geni da cui sortiscono facce che solo italiane possono essere ed ecco pertanto Chiara Civello che volentieri vedrei turrita e Marianna d'Italia.

    Erotica senza essere minimamente esotica, dicevo, e senza prendere quella scorciatoia della seduzione che è l'ambiguità. Lei per attrarre non ha bisogno di sembrare un po' lesbica o un po' uomo come ad esempio Emmanuelle Seigner, per citare l'interprete di un altro disco erotizzante in giro adesso, che ha il fascino minaccioso del travone. Lei non ha bisogno di dire parolacce, è il contrario di una rapper, e qualcosa di diverso dalla comunque deliziosa Camille di “Too drunk to fuck”. Non deve ostentare tatuaggi, esplicitare, essere volgare: suo vero precedente è la Mina felicemente censurata di “L'importante è finire”. Per ottenere tutto, meglio non dire tutto. Né mostrare tutto, anche se nella favolosa foto di copertina, citando la Florinda Bolkan di “Metti, una sera a cena”, scopre una non stretta striscia di carne da spalla a caviglia, coi pezzi anteriore e posteriore del vestito tenuti insieme da laccetti esili che ci vuole niente a sciogliere o spezzare (del resto nel penultimo brano canta “Usami straziami strappami” che è proprio un bel sentire). Non sono sicuro che l'omosessualità sia curabile ma se la cura esiste è una donna con la faccia la voce le parole il corpo tipo Chiara Civello. Sono sicuro che “Canzoni” possa aiutare chi soffre di asessualità, altra piaga contemporanea. Ci sono persone che non considerano l'opzione dell'amore fisico se una canzone non gliene rammenta l'esistenza. Vertice erotogeno del disco è la cover di “Va bene, va bene così” dove una voce col tono della perfetta scopamica pronuncia decisa: “Cosa facciamo stiamo insieme stasera, dài”. Poi parte un sax papettiano e arriva la poetica del fatto compiuto: “Ti sei accorto che facciamo l'amore, sì?”. Quando queste parole le canta Vasco sembra che le canti a uno stadio intero, a cinquantamila persone e quindi a nessuno, quando le canta Chiara sembra che stia dicendo a te.

    • Camillo Langone
    • Vive tra Parma e Trani. Scrive sui giornali e pubblica libri: l'ultimo è "La ragazza immortale" (La nave di Teseo).