Defollowarsi un po'

Annalena Benini

Dopo tutta la fatica fatta per trovare una foto carina da mettere su Facebook, Twitter, sul profilo di Whatsapp, dopo le infinite teorizzazioni sulla connessione perpetua e sulla necessità di condividere con una platea di amici la doccia che faremo, ecco che ci sentiamo in trappola.

    Dopo tutta la fatica fatta per trovare una foto carina da mettere su Facebook, Twitter, sul profilo di Whatsapp, dopo le infinite teorizzazioni sulla connessione perpetua e sulla necessità di condividere con una platea di amici e sconosciuti la doccia che faremo, le lacrime che stiamo versando, le acque che si sono rotte, e lui che è scappato con un’altra, ecco che ci sentiamo in trappola. Non possiamo più vivere senza controllare gli status degli altri, ma c’è qualcosa di simile all’idea di soffocamento nell’essere sempre online, in un mondo aperto dove tutti possono fare capolino e dire: sono qui, che cosa mi racconti? e, ancora peggio: che cosa pensi del mio ultimo post? Non occorre essere amici reali, parenti, ex fidanzati, amanti, per reclamare attenzione, per sporgersi oltre il burrone del silenzio e precipitare insieme nell’universo degli scocciatori e degli scocciati, quelli che vogliono tanti pollici ai loro pensieri sull’importanza della letteratura ma nessun messaggio privato da chi ha un romanzo nel cassetto. Si aspira quindi all’invisibilità, però connessa. Si comincia con il disattivare le notifiche di Facebook, l’orario di accesso a Whatsapp (con grande tormento interiore perché non si potrà più controllare l’orario di accesso degli altri), si usa Skype sempre da “invisibile”, si bloccano un po’ di persone, impedendo loro di mandare messaggi e facendoci così una pessima fama di sociopatici intolleranti. Ma non basta, perché a questo punto la sindrome da accerchiamento social è vicina alla paranoia, ci si sente braccati, ogni passante può essere un follower invadente, [**Video_box_2**]ed ecco che si installa Cloak, l’app per vivere in incognito. Si offrono pezzetti di sé per proteggere pezzetti di sé. In questo caso la localizzazione geografica serve a Cloak per verificare se, tra gli amici di Facebook, Twitter, Instagram e Foursquare (social network per incontri, luoghi, ristoranti) ce n’è qualcuno proprio nei paraggi, che potrebbe riconoscervi, abbracciarvi mentre mangiate un gelato, spiaccicare il gelato, cercare di rimediare aggrappandosi al vostro braccio e invitandovi a cena. Social sì, ma a distanza, e mai nella realtà. E’ così che la vita diventa un inferno, scrive il Guardian, con gli occhi fissi sullo schermo a fissare con terrore puntini che si muovono e che con ogni probabilità sono persone in avvicinamento. Cloak nasce per proteggere l’anonimato, dicono, l’eccessiva pressione da condivisione costante, ma è un altro strumento di controllo (perché mi hai detto che facevi il cammino di Santiago e invece Cloak dice che sei nella pizzeria in cui mi portavi quando eravamo amanti?). Un nuovo modo per trasformare la vita vera in un puntino sullo schermo, e gli incroci delle chat in tuffi al cuore e fughe nei vicoli. Cerca di evitare tutti i posti che frequento e che conosci anche tu, cantava Battisti. Ma il vero incubo, difficile da ammettere, è non trovare nessuno su quello schermo. Nessuno nel raggio di miglia. E uscire a telefoni spenti nella notte, alla disperata ricerca di un follower qualunque da abbracciare.

    • Annalena Benini
    • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.