Finisce l'agonia pre-mondiale, inizia quella dei telespettatori Rai

Jack O'Malley

Per non sporcarci troppo le magliette e non farci mancare la photo-opportunity con Cristo siamo rimasti in una enclave militarizzata di Rio invece di immergerci nell’amazzonica umidità di Manaus a prepararci come si deve, anche se noi alla pioggia ci siamo già abituati.

Port Stanley (Falkland). Per non sporcarci troppo le magliette e non farci mancare la photo-opportunity con Cristo siamo rimasti in una enclave militarizzata di Rio invece di immergerci nell’amazzonica umidità di Manaus a prepararci come si deve, anche se noi alla pioggia ci siamo già abituati. Per di più Welbeck contro l’Italia non ci sarà, e il panegirico di Pirlo fatto da Hodgson mette voglia di posare la caipirinha ghiacciata per passare già prima dell’inizio a pinte di brandy tiepido e bruciante. Sognavo un inizio migliore, ma tant’è. Fortuna che Iddio ci ha dato Rooney, l’unico che ha il coraggio di dire che l’Italia la possiamo battere, e altroché se possiamo, facendo leva sul vantaggio strategico di non avere matrimoni su Twitter né codici etici. Rooney, almeno, non ha rimestato nella sacca dell’ovvio come hanno fatto Ronaldo (non Cristiano, quello grasso) e Mourinho, che, forse per omaggiare Pippo “tanta voglia di fare bene” Inzaghi, sono andati in giro a dire banalità del calibro di “tutti sono favoriti”, “la Seleçao ha molta pressione addosso”. A loro parziale discolpa devo dire che c’è soltanto una cosa peggiore di un Mondiale andato male (ok, ce ne sono almeno tre, dimenticavo il campionato francese e l’erpes): il pre-campionato mondiale sui giornali, una menata di torrone epocale in cui si fanno caricature in stile lonely planet dei paesi partecipanti e di quello ospite e si montano casi di cronaca calcistica inesistenti. A seguire, puntuali come gli sciacalli dopo un terremoto, arrivano i servizi sugli infortunati che salteranno il Mondiale, sulle squadre più forti di sempre, sulle misure di sicurezza negli stadi, sulle sostanziali differenze fra gli alloggi delle varie Nazionali, sul calcio bailado. L’intervista volante a Bobo Vieri no, quella nemmeno assumendo sostante illegali l’avremmo potuta concepire.

 

Penso che la cosa più emozionante vista fin qui sia la gara a chi salta più in alto fra Pepe e Cristiano Ronaldo, o forse l’illuminato divieto di introdurre le Vuvuzela dentro gli stadi, quelle infernali trombe che sono la cosa più dannosa per il calcio dopo Sepp Blatter. Remoto sullo sfondo, ma comunque sempre pronto a disturbare, incombe il calciomercato, perché non di solo mondiale vive il tifoso, ma anche di teorie del complotto intorno all’eventuale passaggio di Ranocchia alla Juventus. Dal mio rifugio sicuro vedo anche che in questo festival del luogo comune non si è affievolita la trita lettura del calcio come metafora geopolitico-economica: la raffazzonata Grecia che odia l’austera Germania è roba da Europei 2012, si prega di inventare qualcosa di originale oppure tanto vale guardare i mondiali sulla Rai e ascoltare in loop un comico paraculo che canta ovvietà sull’omofobia e il razzismo con pronuncia finto portoghese.

 

Per fortuna c’è la Rai, che prima ancora dell’inizio dei Mondiali è già incappata in un collegamento interrotto durante l’amichevole tra Italia e i circensi del Fluminense. Mazzocchi ha subito dato la colpa a un service brasiliano, ma sarebbe stato più credibile se l’avesse data agli alieni. Gli spettatori nel frattempo hanno potuto apprezzare che la grafica di Rai Sport ha fatto passi avanti: dallo stile anni Ottanta a quello anni Novanta.
Jack O’Malley