Bambini brasiliani giocano a pallone in un campo della Favela Moinho, a San Paolo (AP Photo/Rodrigo Abd)

Il Brasile spaesato prima del calcio d'inizio

Pierluigi Pardo

Tutto è cominciato per venti centesimi di reais (0,07 euro). L’aumento del prezzo del biglietto dell’autobus. Il Movimento Passe Libre per strada a San Paolo. Il 6 giugno del 2013. Un giovedì. 53 settimane dopo, il Brasile inaugura il Mondiale.

Tutto è cominciato per venti centesimi di reais (0,07 euro). L’aumento del prezzo del biglietto dell’autobus. Il Movimento Passe Libre per strada a San Paolo. Il 6 giugno del 2013. Un giovedì. 53 settimane dopo, il Brasile dà il calcio d’inizio al suo Mondiale, quello che dovrà cancellare il “Maracanazo”, il dolore sordo della sconfitta con l’Uruguay del 1950. Quello da vincere in campo con le prodezze di Neymar e David Luiz, ma soprattutto fuori, con una pace sociale complessa da ottenere quasi come il sesto titolo di campioni del mondo.

 

Djlma Roussef c’ha messo la faccia, ieri in tv. Non poteva fare altro, del resto. Ha chiesto un atto di fede, ha assicurato che le opere del Mondiale rimarranno a disposizione del Paese: strade, aeroporti, stadi. Ha parlato per dieci minuti, fredda come sempre, quasi distante. Poi ha salutato tutti e si è messa a pregare.

 

[**Video_box_2**]Il suo livello di popolarità è il più basso di sempre, appena il 34 per cento. Dieci punti in meno rispetto a febbraio. Il samba è triste. Solo 1 brasiliano su 4 è convinto che la situazione economica migliorerà a breve. Il reddito medio è di seicento euro al mese ma i prezzi sono drammaticamente europei. Tutto costa tanto, compresi i quasi 3 milioni di biglietti delle partite, il 60 per cento dei quali, secondo la FIFA, è stato comprato dai brasiliani.

 

Può essere, visto che in questo Paese convivono ricchezze abbaglianti e drammatiche povertà. Favelas e quartieri residenziali a cinque minuti di macchina. A Rocinha, sdraiata accanto alla benestante Leblon, la parte più cool di Ipanema (diecimila euro al metro quadro) fino a due anni fa non si pagavano luce e gas. Adesso ci sono case di lamiera, fili elettrici ovunque e un equilibrio sottilissimo che potrebbe rompersi da un momento all’altro. E’ successo soprattutto ad aprile di quest’anno, dopo la morte, durante una perquisizione della polizia nella favela di Pavao, di Douglas Rafael da Silva, 25enne ballerino di TV Globo. Era già accaduto il 13 e il 20 giugno dell’anno scorso (bloody Thursday brasiliani) con gli assalti ai palazzi del potere e la convocazione del Consiglio di governo straordinario per “salvare” la Confederations Cup.

 

Djlma riuscì a cavarsela, ma senza trovare un reale punto di svolta. Adesso sottolinea che nonostante la congiuntura negativa, il 36 per cento della popolazione negli ultimi anni è uscito dall’incubo della povertà; ma questo non sembra rassicurare chi tutti i giorni combatte con sanità e istruzione da terzo mondo, con la beffa degli elicotteri dei milionari che sfrecciano sopra le teste, con i cantieri che sono ovunque e lo smacco della passerella del Maracanà, costata 35 milioni di euro, che servirà solo per l’accesso dei VIP.

 

I giorni prima di Brasile-Croazia sono trascorsi senza violenze eclatanti ma con scioperi e manifestazioni in tutto il Paese. Caos calmo. Il blocco della metropolitana di San Paolo ha portato a 250 chilometri di code in città. Undici aeroporti su dodici sono ancora incompleti. Il tetto dello stadio Itaquerao che ospita il match inaugurale è sorvegliato in modo particolare.

 

Alla radio “Desculpe Neymar”, l’inno lento del cantautore Edu Krieger che racconta la critica feroce alla FIFA e la difficoltà di molti brasiliani a tifare Seleção, è la hit del momento. Lenta e rassegnata. Padroes e ladroes, padroni e ladroni, la rima più semplice, lontana anni luce dallo stereotipo della joia permanente e effettiva di questo Paese, del marketing che racconta samba, donne, pallone e carnevale. Tutto diverso. Il Brasile che arriva al calcio d’inizio, con gli occhi del mondo intero addosso è un Paese solo. Affogato, impantanato e arrabbiatissimo.

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