Renzi ha 29 voti al Consiglio europeo per stroncare Juncker
Il premier può evitare la candidatura del candidato del Ppe alla presidenza della Commissione, liberando così l’Unione dal rischio di essere diretta da una personalità del passato
Con 29 voti dentro al Consiglio europeo, Matteo Renzi può stroncare la candidatura dell’ex premier lussemburghese Jean-Claude Juncker alla presidenza della Commissione, liberando così l’Unione dal rischio di essere diretta da una personalità del passato, ma aprendo un grave conflitto con i custodi dell’europeismo tradizionale. A ispirare il presidente del Consiglio italiano potrebbe essere l’ex premier britannico, Tony Blair, che dieci anni fa pose il veto alla candidatura di un altro federalista, il belga Guy Verhofstadt, per la successione a Romano Prodi alla testa dell’esecutivo comunitario. Renzi e Blair si sono visti ieri a Pechino dove, tra le altre cose, hanno anche parlato delle nomine europee. Con il Trattato di Lisbona, a differenza del 2004, il Regno Unito non ha più un potere di veto sulla scelta del presidente della Commissione. Il premier britannico, David Cameron, non ha nemmeno i numeri per formare una “minoranza di blocco” in seno al Consiglio europeo, dove la “maggioranza qualificata” è fissata a 260 voti su 352, ripartiti in base alle densità demografica dei singoli paesi. La coalizione di Cameron conta 64 voti: 29 il Regno Unito, 13 l’Olanda, 12 l’Ungheria e 10 la Svezia. La soglia per bloccare l’ex primo ministro lussemburghese è a quota 92. I 29 voti dell’Italia sono decisivi: se Renzi si associa alla coalizione anti Juncker, la minoranza di blocco impedirà l’ascesa dell’ex premier lussemburghese, nonostante il sostegno dell’Europarlamento.
[**Video_box_2**]Oltre all’aritmetica, anche la politica dà all’Italia un peso inedito dentro al Consiglio europeo. Grazie al 40 per cento ottenuto alle elezioni europee, Renzi è in “posizione di forza”, conferma al Foglio l’entourage del presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy. Ma nei palazzi brussellesi, come alla Farnesina, in pochi credono che l’Italia, con la sua tradizione di europeismo acritico, voglia contraddire l’Europarlamento: secondo gli eurodeputati, in nome della democrazia, è il capofila del partito più votato (il Ppe) a dover formare la Commissione. “Non posso immaginare Renzi aprire una crisi inter-istituzionale maggiore”, dice un diplomatico italiano, ammettendo però di non sapere “quali sono le reali intenzioni del premier. Le decisioni prendono forma solo nella sua testa”. Che Juncker non sia la persona giusta per guidare la Commissione Renzi lo ha già lasciato intendere la scorsa settimana, quando ha spiegato che “questo non è il tempo dei diktat” da parte dell’Europarlamento e che “nessun candidato ha ottenuto la maggioranza”. Gli eurodeputati renziani, appena arrivati a Bruxelles, confermano la linea del premier: prima il programma, poi i nomi. Lontani dai microfoni, aggiungono che “Juncker non è l’uomo giusto” per cambiare l’Ue.
Le stesse riserve di Renzi sono condivise da Blair. Durante un incontro al Centre for European Policy Studies, il blairiano Richard Corbett (che ha trascorso quattro anni nello staff di Van Rompuy prima di tornare all’Europarlamento) ha evocato lo scenario delle elezioni in Italia nel 2013: nessun vincitore chiaro, lunghe consultazioni fino alla nomina dell’outsider Enrico Letta a capo di un governo di grande coalizione. Renzi non è nemmeno costretto a premere il grilletto dei 29 voti: basterebbe far conoscere l’opposizione italiana a Juncker per spingere Van Rompuy, che conduce le consultazioni con governi ed Europarlamento, a dichiarare che non c’è una maggioranza qualificata dentro il Consiglio europeo, aprendo la strada a una candidatura terza. Intanto i segnali di un ritiro volontario di Juncker si moltiplicano: ieri Martin Selmayr, il funzionario che doveva diventare il suo capogabinetto, è stato nominato direttore alla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo a Londra.
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