Elogio del franco tiratore
C’è un’anima ribelle, garantista, lungimirante, saggia, previdente, accorta, spregiudicata e soprattutto riformista che si nasconde tra le truppe parlamentari del Partito democratico.
C’è un’anima ribelle, garantista, lungimirante, saggia, previdente, accorta, spregiudicata e soprattutto riformista che si nasconde tra le truppe parlamentari del Partito democratico. Che svolge una funzione di mediazione, di equilibrio e di saggezza contro le rigide e spesso scellerate decisioni delle segreterie dei partiti. E che da qualche mese a questa parte, ovvero più o meno da quando è cominciata la diciassettesima legislatura, ha dimostrato di essere in qualche modo la corrente più innovatrice e più giudiziosa del Pd. E’, questa, la corrente che saggiamente ogni volta che il Pd si avvicina alle sirene dei manettari a 5 stelle, ogni volta che nel Pd qualcuno sussurra le parole “governo del cambiamento”, ogni volta che nel Pd qualcuno prova a declinare la “vocazione Minea” più che la “vocazione maggioritaria” è pronta a dare un ceffone alla sua classe dirigente, a farle cambiare rotta e a farle prendere quasi sempre le decisioni giuste. E’ una corrente, questa, che nel 2013 ha svolto un ruolo provvidenziale, ancora più della corrente dei Rottamatori, nell’impedire che fosse Romano Prodi il giusto presidente della Repubblica intorno al quale far nascere il governo. E’ una corrente, poi, che nel 2013 ha svolto un ruolo provvidenziale, ancora più della corrente dei Rottamatori, nell’impedire che fosse la vecchia classe dirigente del Pd, i Pier Luigi Bersani e le Rosy Bindi, entrambi costretti alle dimissioni dopo i famosi 101, a costruire il governo degli smacchiatori. E’ una corrente, ancora, che di fatto ha contribuito ad azzerare la vecchia e insufficiente classe dirigente del Pd. E’ una corrente, infine, che ha imposto al Quirinale l’unico presidente della Repubblica possibile, ovvero Giorgio Napolitano. Che ha suggerito al paese l’unico governo possibile, ovvero quello con il centrodestra. Che ha impedito la nascita del governo Grasso, Boldrini, Mineo, Casaleggio. Che ha portato al governo prima Enrico Letta e poi Matteo Renzi. E che da un certo punto di vista ha avuto un ruolo determinante nel dare al Pd gli strumenti giusti per arrivare al 40 per cento. La corrente di cui parliamo, che con spirito provocatorio potremmo definire la corrente più riformista del Pd, agisce nel segreto, si muove giocando con il voto non palese, ed è quella dei franchi tiratori: dei 101 “traditori”, dei parlamentari che dopo aver affossato Prodi, confermato Napolitano e rottamato Casaleggio, si sono ancora una volta ribellati alla vocazione grillina del Pd quando mercoledì scorso, strafottendosene degli ordini del partito, hanno deciso di votare contro le indicazioni del governo e del segretario e hanno premuto il tasto “sì” di fronte all’emendamento proposto dalla Lega sulla responsabilità civile dei giudici. “Perché – come ha confessato onestamente Roberto Giachetti, deputato del Pd, uno dei 50 franchi tiratori di mercoledì alla Camera – questa riforma andava fatta anche prima, con Berlusconi al governo”. Da questo punto di vista, la corrente dei franchi tiratori mercoledì ha svolto un ruolo provvidenziale. Da un lato segnalando al segretario del partito, Matteo Renzi, la presenza in Aula, rispetto ai temi di carattere giudiziario, di un fronte garantista maggioritario che non ne vuole sapere di farsi incantare dalle sirene e dalle scie chimiche dei 5 stelle. E dall’altro lato mettendo in guardia il presidente del Consiglio rispetto a un punto preciso che riguarda la tenuta del governo e il futuro della legislatura. Senza controllare il gruppo parlamentare, come ha dimostrato mercoledì il Pd, non è possibile governare e non è possibile fare le riforme. Bisogna fare qualcosa. Rompere. Provocare. E da questo punto di vista la presenza massiccia di potenziali traditori della linea renziana non può che essere un indizio evidente di uno scenario che rischia di diventare inevitabile qualora accanto ai tiratori con il volto coperto dovessero aggiungersi i tiratori altrettanto franchi ma con il volto scoperto. E’ notizia di ieri, lo avete visto, che tredici senatori del Partito democratico si sono autosospesi dal gruppo per esprimere solidarietà al senatore Mineo, contrario alla linea delle riforme di Renzi e per questo allontanato dalla commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama dal presidente del Consiglio (Mineo, ha detto Luca Lotti, “ha tradito l’accordo con il gruppo e noi siamo un Partito democratico, non un movimento anarchico”). E se dovesse essere confermata la scelta, il governo al Senato avrebbe oggettivamente numeri in bilico: la maggioranza (Pd, Ncd, Scelta civica) è a quota 161; Renzi ha ottenuto la fiducia a quota 169; senza 13 senatori la maggioranza sarebbe a quota 156; e dunque, per andare avanti, al Pd servirebbero i voti di Forza Italia. Una tragedia? Un franco tiratore che ovviamente chiede di restare anonimo intercettato dal Foglio sorride e la mette così: “E’ un regalo pazzesco. Dovessero fare marcia indietro, i 13 senatori mostrerebbero tutta la loro impotenza. Dovessero uscire fuori dal gruppo, il Pd potrebbe realizzare il suo percorso di riforme con Forza Italia, fare la legge elettorale subito, avere una scusa per andare a votare e rottamare alle urne il Pd a vocazione grillina”. Scenari. Sospetti. Triangolazioni. Ma anche qui il solito sospetto: vuoi vedere che i franchi tiratori hanno aperto davvero gli occhi al Pd di Renzi?
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