Ritornare a Baghdad

Obama dice che non s'arruola nella guerra tra sciiti e sunniti in Iraq

Daniele Raineri

Lo Stato islamico annuncia esecuzioni di massa di soldati, gli ayatollah mobilitano migliaia di volontari.

Ieri il presidente americano, Barack Obama, ha parlato dal prato della Casa Bianca con un elicottero militare alle spalle per dire una cosa poco significativa e una molto significativa: ha detto che la decisione sui (probabili) bombardamenti in Iraq contro lo Stato islamico che avanza verso Baghdad saranno decisi nei prossimi giorni e che non saranno in alcun caso inviate truppe – e questo non aggiunge nulla di nuovo – e ha anche detto che per intervenire vuole vedere cambiamenti da parte della leadership irachena, quindi soprattutto dal primo ministro Nouri al Maliki. “Il problema in Iraq dev’essere risolto dagli iracheni”. Obama accusa il governo sciita di Baghdad di essere troppo settario e duro con la minoranza sunnita, che così finisce per vedere nell’arrivo dello Stato islamico una liberazione (a Mosul i corrispondenti locali raccontano che la gente non teme il gruppo erede dei combattenti del comandante giordano Abu Mussab al Zarqawi, e teme la risposta del governo con gli aerei e l’artiglieria). E’ una novità rispetto all’aiuto quasi incondizionato garantito finora al governo di Maliki.

 

Sul campo lo Stato islamico ha annunciato di avere catturato 4.200 soldati iracheni nell’area di Tikrit, di averne uccisi 1.700 perché erano sciiti e di avere graziato gli altri, i sunniti, su ordine del capo, Abu Bakr al Baghdadi. Su YouTube (ora bloccato in Iraq assieme a Twitter e Facebook) appaiono video di centinaia di soldati, senza più l’uniforme, catturati e incolonnati in marcia su un’autostrada sotto la sorveglianza dello Stato islamico. Il portavoce del gruppo armato ha dichiarato che l’obiettivo è far cadere anche la capitale Baghdad, ma è verosimile che l’offensiva rallenterà. Avanzare nelle aree a maggioranza sunnita era facile, ora si prepara la collisione con la maggioranza sciita. Ieri il religioso sciita più influente del paese, Ali al Sistani, ha abbandonato i suoi toni sommessi e ha chiamato alle armi “i cittadini” iracheni, ma è chiaro che è un appello che sarà raccolto dagli sciiti che si sentono minacciati. Secondo il Washington Post, già in trentamila hanno risposto alla chiamata.

 

Tra le notizie che arrivano dal campo dello Stato islamico – attraverso un velo di vaghezza perché non ci sono conferme dirette – c’è la morte del pianificatore militare dell’offensiva su Mosul, l’iracheno Asad Allah al Bilaawi, che era un collaboratore di Zarqawi (quindi aveva un ruolo prominente già prima della morte del capo nel 2006). E c’è anche la presenza del capo del gruppo, Al Baghdadi, all’apertura dei cancelli della prigione di Badush, dentro Mosul (una fonte del Foglio conferma che al Baghdadi conosce bene quella zona, quindi potrebbe esserci fondamento). Inoltre, si parla di un accordo locale di potere con gli ex baathisti, sopravvissuti alla morte del rais Saddam Hussein.

 

L’intervento americano, se ci sarà presto, arriverà sotto forma di bombardamenti con aerei e con droni, ma è dubbio che possa essere risolutivo. Alcuni funzionari americani del governo sentiti dalla Cnn ammettono che l’intelligence ha poche informazioni su dove e come colpire e si rischia di bombardare zone abitate da civili. Al contrario di come fa in Siria, lo Stato islamico non ha basi chiaramente riconoscibili in Iraq. A poco è servito il programma di sorveglianza con i droni che dura segretamente dal 2013 ed è stato ieri svelato dal Wall Street Journal e nemmeno quello – scoperto due mesi fa – di intercettazione totale di tutte le chiamate telefoniche in Iraq compiuto dall’americana Nsa (National security agency). Dopo la Crimea occupata a sopresa dai russi a febbraio, ora la caduta dell’Iraq è un altro fallimento gigantesco dell’intelligence americana, nota Foreign Policy.

 

L’Iran annuncia appoggio militare contro lo Stato islamico e traccia la linea di difesa invarcabile nella città di Samarra, 150 chilometri a nord di Baghdad, dove c’è una moschea sacra agli sciiti. Potrebbe essere il primo caso di collaborazione oggettiva in guerra tra Stati Uniti e Iran. Le milizie irachene ma controllate da Teheran che nel paese sono molto forti stanno prendendo l’iniziativa per riempire il vuoto lasciato dall’esercito iracheno in rotta – “è costato 20 miliardi di dollari in addestramento e armi”, ha detto Obama, ma ora sessanta battaglioni su 240 sono fuori combattimento.

 

In tutto questo, i curdi vedono l’occasione per fondare definitivamente il loro stato e spingere il loro status di minoranza autonoma, senza entrare in rotta di collisione con il governo centrale ma anzi ricevendo un grazie. In questi giorni i peshmerga curdi sono stati gli unici a contenere l’onda d’urto dello Stato islamico.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)