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Perché Etihad & Co. insidiano il protezionismo euro-tedesco

Alberto Brambilla

L’arrembaggio dei colossi arabi è ormai impossibile da ignorare per le Autorità europee e per le compagnie aeree del Vecchio continente.

Roma. L’arrembaggio dei colossi arabi è ormai impossibile da ignorare per le Autorità europee e per le compagnie aeree del Vecchio continente. E’ alla crescente concorrenza dei colossi del Golfo che Lufthansa, la prima compagnia d’Europa per fatturato nonché principale vettore tedesco, imputa la riduzione delle aspettative di utili per quest’anno (da 1,5 miliardi a 1) e per il prossimo. L’annuncio di mercoledì ha allarmato gli azionisti: il titolo quotato sul brillante listino di Francoforte è crollato del 14 per cento. Dopo il “profit warning” la credibilità della sua strategia, fatta di riposizionamento sulla clientela business premium e taglio dei costi, viene messa in discussione, dicono gli analisti. Nulla di tragico – Lufthansa è in salute – ma certo al fondo della questione c’è un dato di verità che il Wall Street Journal ha fatto maliziosamente notare al nuovo ad, Carsten Spohr, già [**Video_box_2**]responsabile della divisione passeggeri business: “Se non puoi battere gli avversari arabi, alleati con loro”.

 

D’altronde le previsioni giocano contro chi pensa di potersi chiudere nel suo fortino e sperare di sopravvivere illeso. L’aumento del traffico sulle rotte mondiali e soprattutto verso l’Europa di Emirates, Qatar ed Etihad – croce dei tedeschi in patria in quanto controlla Air Berlin, la seconda compagnia di Germania per grandezza – è assodato: nel 2020 insieme alla turca Turkish Airways cresceranno del 95 per cento in Europa a scapito di Lufthansa, della franco-olandese Air France-Klm e della britannico-spagnola British Airwais-Iberia che invece cresceranno solo dell’8, dice Roland Berger, una società di consulenza. “L’industria dell’aviazione ormai è globale perché il prodotto venduto è globale. Nel 2014 bisogna pensare in questi termini più che in quelli di un nazionalismo da XIX secolo (o da ‘eurismo’)”, dice al Foglio Kenneth J. Button, tra i massimi esperti del settore e direttore del Center for Transportation, Policy, Operations and Logistics alla George Mason University. L’esigenza per Lufthansa è di alimentare il flusso passeggeri negli aeroporti di riferimento, Monaco e Francoforte. Un modo sarebbe quello di legarsi a vettori con una forte domanda. Non a caso Air France-Klm da due anni sta costruendo una solida alleanza operativa con Etihad, controllata e foraggiata dallo stato di Abu Dhabi.

 

Non a caso Lufthansa ha criticato con veemenza sia il sostegno pubblico ricevuto da Alitalia, tramite Poste, sia il salvataggio da parte di Etihad: “Rifiutiamo i sussidi periodici e la parziale nazionalizzazione delle compagnie aeree europee, indipendentemente dal fatto che questi siano provenienti da paesi europei, paesi non europei o imprese di proprietà statale”, scriveva in una nota. Il regolamento Ue (n. 1008 del 2008) non permette a un vettore extra-europeo di controllarne uno continentale: la controversa norma del cosiddetto “controllo di fatto” dice che, a prescindere dalla proprietà della maggioranza delle quote, il controllo potrebbe essere comunque esercitato in altro modo con “un’influenza determinante sulla gestione delle attività dell’impresa”. Alitalia e il governo italiano dicono che Etihad prenderà il 49 per cento di una nuova holding finanziaria costruita ad hoc e il restante 51 resterà in mani italiane (e si suppone anche francesi, Air France è azionista col 7) e teoricamente il problema non si pone. Il commissario europeo ai Trasporti, l’estone Siim Kallas, ha messo in chiaro al ministro dei Trasporti italiano, Maurizio Lupi, che le regole sono ferree e valgono per tutti. “Magari un giorno l’accesso sarà libero ma oggi, ad esempio, in Usa solo il 25 per cento non ha vincoli”, ha detto Kallas che aveva cercato di dare una spinta concorrenziale alle ferrovie europee ricevendo uno schiaffo dal Parlamento. Forse non è un caso che le travagliate trattative tra Alitalia e Etihad siano accelerate dopo le elezioni europee. Tra i grandi paesi dell’Eurozona solo i governi di Germania e Italia sono usciti rafforzati, fatto non secondario dal punto di vista degli emiratini: “La contropartita è politica – scrivevano gli analisti di Reuters Breaking Views sull’Herald Tribune – Salvando un’icona nazionale, Etihad compra capitale politico a Roma. L’ascesa delle compagnie del Golfo è vista come una minaccia da quelle europee che stanno facendo pressioni per un intervento istituzionale. Facendo squadra con Alitalia può sperare di avere dalla sua parte il terzo più importante paese membro dell’Eurozona. Questo vale il rischio”, il rischio di risollevare un’azienda in perdita cronica e costata al contribuente 6,5 miliardi di euro dal 2008 a oggi, tra debiti passati allo stato e ammortizzatori sociali, secondo calcoli aggiornati dall’Espresso. Etihad è intransigente sui 2.271 esuberi strutturali: il 16 per cento della forza lavoro deve uscire senza ammortizzatori, per evitare strascichi legali. Il governo ha fatto capire che le soluzioni probabilmente passeranno da esternalizzazioni e da ammortizzatori finanziati col fondo per il trasporto aereo, ergo anche dall’aumento delle tariffe per i passeggeri.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.