Gli Azzurri e Pirlo insegnano che l'intelligenza nel calcio è tutto
Dicono che antropologicamente siamo piagnoni, melodrammatici, infingardi, propensi a barare, una banda di opportunisti bacia-culo. E forse è vero.Dimenticano però che siamo anche intelligenti.
Dicono che antropologicamente siamo piagnoni, melodrammatici, infingardi, propensi a barare, una banda di opportunisti bacia-culo. E forse è vero. Dimenticano però che siamo anche intelligenti, estremamente intelligenti. E che l’intelligenza nel calcio è tutto, è un caso da manuale del general intellect di marxiana memoria in cui il gruppo si fa più potente della somma degli individui che lo compongono. Ecco, l’ Italia è di gran lunga la squadra più intelligente e quindi più potente di quelle viste finora. E ha in Andrea Pirlo, da Flero, provincia di Brescia, trentacinque anni appena compiuti, in teoria rottamando, la più alta concrezione mondiale di intelligenza calcistica.
Mi fa rabbia che ancora tanti perdano tempo a spulciare partite amichevoli di cui i nostri accidiosi e viziati pedatori giustamente non capiscono il senso e aspettano solo la fine per tornare, sani, alle loro bambole. Intelligentemente non abbiamo mai sprecato un grammo di sudore, aspettiamo che il gioco si faccia duro, che arrivino avversari blasonati da castigare: quelli che cadono dall’alto fanno un gran botto e la cosa ci è sempre piaciuta assai. E mi fa anche più rabbia che ci si meravigli oggi del calcio di punizione da trenta metri stampato sulla traversa inglese quando di punizioni così, e anche più belle, Pirlo ne ha tirate e messo a segno a iosa in tutta la carriera. Volerne fare un Juninho Pernambucano con barba è peggio che un crimine.
La sua grandezza è altrove. E’ nel velo che ha mandato la difesa inglese a spazzolare vetri aprendo a Marchisio la via del primo gol: e non dite che era uno schema, bastava vedere l’espressione sorpresa dello stesso Marchisio, che non si aspettava nulla ma siccome è vispo, ci ha messo un secondo a capire, uno e mezzo a fare tre passi nella giusta direzione e due a centrare l’angolo sinistro. Perché dunque negare ai due compari la forza dell’improvvisazione, dell’estemporaneità che è sempre segno di intelligenza superiore. A pochi minuti dalla fine, sul 2 a 1, abbiamo visto Pirlo tenere palla sulla linea dell’out nella nostra tre quarti, circondato da maglie bianche che lo pressano e liberarsi con un paio di movimenti di anca e di suola, senza fare fallo: non è dribblomania ma intelligenza al servizio del momento e del bisogno.
A rinfrescare la memoria, era il 2006, semifinale con la Germania, eravamo quasi verso la fine del secondo tempo supplementare, inchiodati ancora sullo zero a zero, i rigori ormai in vista: entrò nell’area piccola, finse di passare al centro e dette la palla al mancino Fabio Grosso, che era terzino sinistro ma si era appostato a destra così da poter calciare di sinistro: un’intuizione a due teste e a quattro piedi che ci portò in finale. Senza testa non c’è squadra, non si resiste alla fatica, non si migliora ogni giorno di quel famoso e retorico centimetro che alla fine farà la differenza, non ci si difende e non si attacca insieme, e nemmeno si riesce a mettere a frutto cuore e polmoni di chi è meno favorito da madre natura, dal talento.
L’intelligenza in quanto fluida discontinuità può fare a meno del modulo. Non ho capito come abbiamo giocato a Manaus e francamente me ne frego, mi è bastato vedere una bella partita in cui abbiamo vinto anche atleticamente e fisicamente. Constatare il magico accordo al cuore del gioco azzurro, Pirlo, Verratti e Thiago Motta, l’inesauribile Marchisio, il monumentale De Rossi, è materia grigia che ci consegna il miglior centrocampo del torneo, in grado di tappare anche eventuali buchi difensivi e di sostenere l’offensiva martellante e devastante di Candreva e Darmian sulla fascia destra. L’ex impero coloniale che il caldo e l’umidità del tropico ce l’aveva nel genoma e poteva contare sull’apporto di forze giovani e fresche nate più o meno a quelle latitudini si è inchinato a una tribù italica a dominante bresciana, non solo Pirlo ma pure Balo e pure il mister, che già a 30 gradi sbuffa e smania: se non è questa la vittoria del general intellect.
Il contrario dell’Argentina che gioca male e affonda l’eroica, bravissima Bosnia-Erzegovina solo perché dopo avere vagato in mezzo al campo o averne fatte troppe e male per circa un’ora, Lionel Messi trova il corridoio giusto e con il suo mulinar di gambette fa secca una difesa ormai stanca. Il lampo, l’exploit della stella, ultima risorsa del gruppo che non ha abbastanza intelligenza per farsi squadra. Lo stesso si aspettava il Portogallo da Cristiano Ronaldo, ma ha beccato dalla Germania una matrangata che levati. Messi, Ronaldo: gambe sempre gambe. Da ragazzo preferivo Didi a Pelé e Alfredo Di Stefano sopra tutti, dono ubiquo del dio del pallone: l’intelligenza non cede mai, non ti abbandona. E’ per sempre. Come appunto Andrea Pirlo.
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