Matteo Renzi (foto LaPresse)

L'Internazionale renziana

Marco Valerio Lo Prete

Il Fmi tra allarmi sul lavoro e lodi alle riforme. L’Ue che spera nell’austerity light. Pure Squinzi s’allinea a Renzi che sferza le banche

“La crisi certo non è finita, ma può essere vinta”, ha detto ieri il presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Dire che per l’Italia “la pagina più bella non sono i 60 anni trascorsi ma quelli che verranno” non è questione di “arroganza”, bensì di “ambizione”, ha aggiunto durante la cerimonia di Pitti Uomo nella sua Firenze. Certo, l’autostima al premier non manca e si sarà perfino ringalluzzita davanti a certi titoli di giornale che annunciavano così la kermesse di moda di ieri: “Vestiremo alla Renzi”. Tuttavia è pure indubbio che per 24 ore, dal Fondo monetario internazionale alla Confindustria, passando per l’Ue, Renzi ieri ha potuto legittimamente sentirsi al centro di attenzioni benevole e speranzose.

“Il nostro è un paese arrugginito, un paese impantanato, incatenato da una burocrazia asfissiante, da regole, norme e codicilli…”. Da ieri questa non è semplicemente una delle frasi renziane a effetto, adatta per un comizio pubblico o un retroscena ispirato: la citazione del premier, infatti, l’ha scelta il Fondo monetario internazionale per aprire ufficialmente il suo rapporto “Article IV” presentato ogni anno sul nostro paese. Non era mai successo. Un guizzo inatteso per i tecnici, proverbialmente algidi, dell’organizzazione internazionale che ha sede a Washington. Il Fmi ovviamente non ha nascosto che la “ripresa” è “fragile” e perciò è urgente “continuare nel processo di riforma”. Ha parlato di “disoccupazione a livelli inaccettabili”, di crediti bancari in sofferenza che “continuano a crescere” e hanno raggiunto “il livello del 16 per cento dei prestiti”. Ha aggiunto, il Fmi, che “c’è urgente bisogno di un sistema giudiziario più efficiente”, che la spesa pubblica italiana è squilibrata verso le fasce più anziane della popolazione, penalizzando istruzione e politiche attive del lavoro. Poi però il capo della delegazione del Fmi in Italia, Kenneth Kang (coreano con laurea e dottorato tra Harvard e Yale), ha notato pure “la coraggiosa e ambiziosa agenda di riforme”. Nello specifico ha sostenuto l’utilità del Jobs Act nella misura in cui porterà a un contratto unico a tutele crescenti. L’andamento del rapporto debito pubblico/pil va invertito, ma anche qui i toni sono pragmatici: occorre un avanzo del saldo strutturale di bilancio, ma “a condizione che la ripresa si rafforzi” e comunque “intervenendo in modo graduale per evitare un aggiustamento ampio”. Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha parlato di “riconoscimento” e di “incoraggiamento”, formula quasi identica a quella usata all’indomani del via libera (condizionato) della Commissione Ue al rinvio del pareggio di bilancio dal 2015 al 2016. Pure dal fronte europeo, non a caso, in queste ore arrivano segnali che non possono non allietare Palazzo Chigi.

 

Ieri il presidente uscente dei socialdemocratici al Parlamento europeo, Hannes Swoboda, ha detto esplicitamente che il presidente del Consiglio Ue, Van Rompuy, è al lavoro su un testo per aumentare la flessibilità del Patto di stabilità e crescita sui conti pubblici e starebbe cercando di recepire “le precondizioni” poste da Renzi. Indiscrezioni o wishful thinking? Si vedrà, forse già oggi a Roma dove Van Rompuy è atteso a Palazzo Chigi, a due settimane dall’inizio del semestre italiano di presidenza europea. Sicuramente, però, Renzi ha la politica monetaria in poppa: la Banca centrale europea non si era mai spinta a praticare tassi d’interesse così bassi (addirittura negativi per le banche che depositano a Francoforte la liquidità). E’ ancora da capire se ciò sarà sufficiente per contrastare la tendenza al ribasso dei prezzi e quella al rialzo dell’euro: intanto però il presidente del Consiglio ieri si è rivolto alle banche italiane dicendo che, dopo gli ultimi interventi espansivi di Mario Draghi, “non ci sono più alibi per dare credito”. Al punto che ieri anche Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria finora tutt’altro che renziano, pressato pure dalla sua base che Renzi stesso corteggia, si è sciolto in un “siamo a disposizione per spingere nella stessa direzione del governo”. 

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