La Germania è ancora l'invincibile armata che può essere vinta
E’ una squadra certo, come dubitarne. Ma è squadra non eccelsa, che ha un centrocampo lento e ad eccezione di Mario Kroos non con idee particolarmente brillanti. Non devono trarre in inganno la spettacolare entrata in scena e le quattro pappine rifilate al Portogallo.
Va bene che c’era la signora Merkel in tribuna, che lei e loro sono stati molto buoni con Schumacher impegnato nella difficile battaglia che sappiamo. Che sono perciò assai più potabili degli argentini che ancora la menano con quei quattro scogli piantati in mezzo all’oceano rapinati un dì dagli inglesi e lestamente ribattezzati Falkland. Ma non per questo dobbiamo dire che è grande Germania. E’ una squadra certo, come dubitarne. Ma è squadra non eccelsa, che ha un centrocampo lento e ad eccezione di Mario Kroos non con idee particolarmente brillanti. Non devono trarre in inganno la spettacolare entrata in scena e le quattro pappine rifilate al Portogallo. Ai bianchi è andata come si dice l’acqua per l’orto, Ronaldo nei primi minuti sbaglia da posizione e distanza da cui solitamente non sbaglia, Joao Pereira procura rigore aggrappandosi a Götze che siccome non è proprio un fulmine d’area non avrebbe segnato nemmeno con tempo e matita a disposizione, non bastasse quello scervellato di Pepe rifila una testata a gioco fermo a Thomas Müller che è a terra, roba che nemmeno negli angiporti, così si fa espellere e lascia i suoi per un’ora in dieci, anzi in nove e qualcosa perché Ronaldo è mezzo azzoppato e Coentrao si fa male a metà ripresa. La Germania ha vinto dunque per episodi, il Portogallo ha pagato il biglietto a prezzi da bagarinaggio.
[**Video_box_2**]Thomas Müller, già capocannoniere in Sud Africa, ora ha fatto tre gol e guida la classifica provvisoria. Ma non è uno spauracchio. Non sa disegnare traiettorie assassine alla Neymar o alla Messi, non ha il grano di follia che spinge un Van Persie a fare un tuffo ad angelo, a disegnare un pallonetto con la nuca e la parte alta della fronte, a trasformare l’inosabile in ineluttabile. Lui è attaccante agilissimo nell’area piccola, ha un molto ampio compasso di gamba, ma non riesce a fare come Ibrahimovic che lo usa anche nelle mischie a centrocampo e lo rende devastante. Müller segna di caviglia, di ginocchio, di spizzo, di rinterzo, perché ha la grande dote di capire in anticipo dove arriva la palla, la dote che aveva Inzaghi. Solo che non è un fighter man, gli manca la febbrilità, la tensione assoluta del combattimento che è stata la qualità ineguagliabile dell’ex centravanti di Juve e Milan. Solo noi provinciali potremmo considerare Müller solo in quanto straniero conosciuto più pericoloso e talentuoso di tanti attaccanti nostrani veraci: tant’è che quelli del Borussia che provinciali non si sentono affatto sono venuti in Italia a prendersi un certo Immobile. Dunque Germania niente affatto sopra tutti. Al primo esame è meno tosta dell’Argentina, forse dell’Olanda, sicuramente dell’Italia. In particolare gli Azzurri ne hanno incontrato e sconfitto di migliori sulla carta, anche a casa loro: ad esempio quella del 2006 in cui Lahm non trascinava senza costrutto il suo metro e sessanta in mezzo al campo ma faceva l’esterno destro, ruolo naturale in cui era uno dei migliori al mondo. Comunque accroccata la Germania dà sempre la stessa impressione di invincibile armata che può tranquillamente essere vinta. Si sente, si vede che hanno l’anima torturata, protesa verso mete gloriose e che lo scarto fra il dovere, il volere e l’essere può giocare brutti scherzi. Manca loro l’arte di arrangiarsi, quel guizzo della fantasia che è ricorso estremo, arma impropria e spesso vincente dello scugnizzo italico-latino: a voler essere irrispettosi si può dire che nessuna Wehrmacht può reggere a un’astuta, martellante guerra di popolo. Sono metodici, questo sì: arrivano spesso in finale, sembrano iscritti fin da giovani al club delle prime quattro ma sono sei volte che non vincono il titolo. Quello del 1990, in Italia, se lo presero di straforo e per default, giocarono meno peggio dell’Argentina e andarono in gol con un misero calcio di rigore. E’ dunque da rivedere la storica battuta di Gary Lineker, il calcio è un gioco inventato dagli inglesi al quale vincono sempre i tedeschi. Ecco non sempre vincono, spesso perdono. E nell’ultimo quarto di secolo hanno molto perso. Messa così la statistica però è decisamente dalla loro parte: dagli e dagli, picchia e mena, anche la serie negativa più lunga alla fine s’interrompe, non c’è nessuna ragione scientifica a che ciò accada ma accade, alle estrazioni del lotto anche i ritardatari più incalliti finiscono per uscire. Non c’entra nulla ma per semplice scaramanzia mi va di ricordare che anche tra gli ultimi due titoli dell’Italia passarono esattamente ventiquattro anni.
Il Foglio sportivo - in corpore sano