Il portiere della Spagna Casillas a testa bassa dopo la sconfitta con il Cile (foto LaPresse)

Umiliata e inerme, la Spagna dice addio al Mondiale

Piero Vietti

Sconfitta 2-0 dal Cile al secondo del girone, la Spagna campione del mondo e d'Europa in carica viene eliminata dai Mondiali del Brasile. Olanda e Cile vanno avanti, già qualificate per gli ottavi di finale.

Non è vero che gli episodi decidono le partite, ma è vero che dagli episodi si può capire come andranno a finire. Al 44’ minuto del primo tempo le telecamere inquadrano per pochi secondi Casillas, il portiere spagnolo atteso al riscatto dopo le cinque arance olandesi prese nella prima partita: si sta mordendo il labbro inferiore nervosamente, lo sguardo fisso. Attorno, il Maracanà è un urlo continuo, rosso e incredulo. Il Cile ha appena segnato il secondo gol, e Casillas è di nuovo colpevole. Ha respinto di pugno una punizione di Sanchez, ma lo ha fatto male: non di lato, come scuola calcio insegna, ma verso il centro dell’area. Sui piedi di Aranguiz, per la precisione, che ha avuto tutto il tempo di stoppare il pallone, alzare gli occhi e colpire di punta. Gol.

Capita, è vero. Tanto che nel secondo tempo una cosa simile la combina anche Bravo, il portiere del Cile: respinta sbagliata di pugno, palla che finisce all’inutile Diego Costa, che la mette in mezzo. Da dietro arriva Busquets, la porta semivuota a un metro. Sbaglia.

 

In realtà la Spagna era già morta prima di questa partita. Il pressing dei cileni a interrompere ogni tentativo di tiki-taka, quasi oltraggioso, ne ha solo certificato la scomparsa. Erano tutti in difficoltà, gli spagnoli: Iniesta sbagliava i dribbling, la difesa lasciava buchi come se fosse composta da quattro Paletta, il centrocampo non azzeccava i passaggi e l’attacco non aveva mai i tempi giusti. Le gambe, mancavano le gambe.

 

Prima della partita sugli spalti non si distinguevano le due tifoserie, entrambe vestono il colore rosso. Agli inni nazionali si è capito subito chi avrebbe comandato: il canto urlato a cappella dai cileni è stato straripante. Gli spagnoli, fermi ad ascoltarlo, si stavano già arrendendo. Il campo ha raccontato la corsa forsennata e vincente di Vidal e compagni e le idee tristi, lente e confuse dell’undici di del Bosque. Il secondo tempo è stato il monumento del vorrei-ma-non-ho-la-testa-per-farlo, il torello dei cileni al settantesimo minuto tra gli olè dei propri tifosi mentre i rossi di Spagna cercavano di recuperare il pallone un pugno in volto ai campioni d’Europa e del Mondo. Ma il calcio non è sport da buoni sentimenti, e danzare sulle spoglie del più forte dopo averlo battuto è attrazione umanamente troppo forte per non assecondarla.

 

Il Cile va meritatamente agli ottavi di finale. Alla Spagna resta l’inutile partita contro l’Australia, anch’essa già eliminata dall’Olanda in una partita giocata con dignità e cuore. Caratteristiche che alla Spagna in Brasile sono venute improvvisamente a mancare. Umiliata e inerme, la Spagna Campione si è beccata anche sei minuti di recupero alla fine della partita. Un crudele infierire sul cadavere della Roja. Non li meritava.

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  • Piero Vietti
  • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.