Silvio Berlusconi (foto LaPresse/AP)

Una vendetta di schiavi frustrati

Giuliano Ferrara

Incontrollata, incontrollabile, irresponsabile, impunita: sono quattro definizioni connotative della magistratura italiana che potrebbero costare a Berlusconi la libertà personale, con la revoca della pena accessoria alla quale si è acconciato con grazia.

Incontrollata, incontrollabile, irresponsabile, impunita: sono quattro definizioni connotative della magistratura italiana che potrebbero costare a Berlusconi la libertà personale, con la revoca della pena accessoria alla quale si è acconciato con grazia. Non sono insulti o espressioni a ruota libera che esigano la tutela, come direbbero i giudici di Napoli, del codice dell’onore togato. Che la magistratura da noi sia autonoma da ogni altro potere è fatto costituzionale (incontrollata, incontrollabile). Che questa autonomia relativa sia diventata assoluta dopo la modifica dell’articolo 68 della Costituzione, che proteggeva attraverso l’immunità contro il sospetto di parzialità o fumus persecutionis gli appartenenti alle Camere stabilita con voto libero e segreto delle stesse, è un altro fatto assodato e innegabile. Che l’irresponsabilità dei magistrati, vincitori di un concorso ma non eletti, dunque non revocabili e solo a certe condizioni sottoponibili a procedimento disciplinare e trasferimento, ma esclusivamente nell’ambito del cosiddetto autogoverno, è un’altra realtà delle cose non contestabile. Che infine questo potere incontrollato, incontrollabile e irresponsabile goda di una immunità rispetto a ogni vera procedura sanzionatoria, salvo rare eccezioni fissate nella legge e nel codice corporativo, e autogestite, e dunque sempre latitanti nel rapporto con altri poteri dello stato, nessuno può ragionevolmente negarlo. E allora? Chiudere la bocca a Berlusconi, immobilizzarlo, isolarlo e impedirgli di guidare la parte d’Italia che si riconosce in lui, questa è la minaccia, incredibilmente intimata nel corso dell’ultima campagna elettorale, che potrebbe diventare misura di ingiustizia e di antipolitica militante a partire dalle decisioni o dalle deliberazioni napoletane di lunedì.

 

Piazzale Loreto non si è potuta imbastire. Berlusconi non è un leader autoritario. Si è dimesso da solo e ha rinunciato a far valere il fatto di essere stato eletto dal popolo (l’ultimo direttamente voluto dagli italiani a Palazzo Chigi). Non ha portato il paese in guerra. Non ha limitato le libertà politiche. Non ha impedito ai media di essere, in circuito perverso con i magistrati, padroni del campo. Ha cercato di riorientare il paese sulla base di esperienze e idee venute dal mondo imprenditoriale e dalla tradizione liberale, con molti errori e molti insuccessi, ma in un contesto di limpida lotta politica, fronteggiando un’opaca inimicizia strutturale di poteri economici e corporativi di varia natura. Ha rivoluzionato il sistema del consenso e della governabilità, introducendo o rendendo politicamente possibile il maggioritario a cui tutti o quasi si richiamano, modificando nel profondo (fino a Renzi, dunque trasversalmente) il linguaggio politico diffuso. E’ stato per vent’anni l’immagine, la carta d’identità di questo paese, che ha rappresentato nel mondo per mandato del Parlamento e degli elettori. Neanche con le migliori intenzioni del più fetido animus italiano, quello della pompa di benzina, del capo amato e poi odiato appeso per i piedi, dello scaracchio macabro, era possibile una nuova messinscena liberatoria, ma schiava delle più ignobili passioni, quale fu il castigo riservato al Duce, ai gerarchi, a Claretta. Dunque si procede altrimenti, per ottenere lo stesso risultato ottenebrante, la stessa squallida misura di cancellazione e di rancida rifrittura della storia. Con l’aggravante che questa non è la vendetta dei vincitori, ché il vincitore è un giovanotto estraneo a questa logica di arcaismo belluino, bensì la rivalsa dei vinti, di chi non ce l’ha mai fatta a battere con mezzi politici l’outsider venuto dal nord, l’uomo rodomontesco ma di buone maniere che l’Italia ha amato nonostante tutto.

 

Procedono in una sequela di insulti, di imprese punitive e di isolamento e mascariamento del loro Arcinemico, cercano con ogni mezzo di provocarlo e di umiliarlo e di affossarlo oltre il già fatto. Perché sono nevrotici, anzi isterici, una banda di frustrati travestiti da gentiluomini in gara per tutelare la legge uguale per tutti. E’ anche un avvertimento mafioso alla nuova generazione politica che ha cercato di emulare Berlusconi, anche a sinistra, e di competere con lui, non di ammazzarlo in effigie. Uno spettacolo disgustoso.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.