Italia all'ultimo Ciro
Errori, furbizia, talento e grinta. Com’è successo che stasera le nostre speranze sono appese a Immobile.
Chiedete a un tifoso del Torino che cosa pensa di Ciro Immobile, e vedrete il suo cuore che si divide in due. Il fatto è che se si vuole capire davvero chi è il capocannoniere della serie A che molto probabilmente questo pomeriggio scenderà in campo contro l’Uruguay, è a un tifoso del Torino che bisogna chiederlo. Perché è in granata che questo ragazzo di Torre Annunziata, coetaneo di Balotelli ma noto ai più solo da qualche mese, è diventato il centravanti su cui molti appoggiano le ultime speranze degli Azzurri in Brasile, e su cui Jürgen Klopp, l’allenatore del sorprendente Borussia Dortmund, punterà l’anno prossimo per conquistare Bundesliga e Champions League. Di lui hanno raccontato molto, in questi giorni, ma non tutto. Hanno sviscerato le sue origini campane, che fanno simpatia e ascolti, il fatto che Zeman lo abbia lanciato, e hanno ovviamente sottolineato come appena diciassettenne sia stato scoperto dalla Juventus e portato a Torino nella Primavera dei bianconeri.
Nella momentanea esaltazione del blocco-Juve fatta dalla stampa nazionale si capisce che funzioni di più ricordare che in passato Immobile ha giocato in bianconero, piuttosto che scrivere che se oggi i nostri occhi seguiranno ogni suo movimento contro la difesa uruguagia, sperando che portino al gol della vittoria, il merito è della stupefacente stagione appena conclusa con la maglia del Torino addosso: 22 gol segnati su azione, nessuno su rigore, di destro, sinistro, testa, al volo, da fermo, in corsa, di potenza, furbizia, rapidità, senso della posizione e coraggio. Già, perché la Juventus non ha puntato su di lui, né lo avrebbe mai fatto (a Conte, che lo ha allenato a Siena, uno come Immobile non serve, e c’è la dirigenza juventina, desiderosa di fare cassa subito, dietro al rapido passaggio in Germania per la prossima stagione), mentre il Torino lo ha preso un anno fa dopo una stagione deludente e i primi, immancabili, esperti i quali spiegavano un po’ ovunque che Immobile era sì forte, ma giusto in una squadra allenata da Zeman in serie B. Dodici mesi dopo la stampa e gli esperti chiedono a gran voce a Prandelli di schierarlo in campo al Mondiale, dato che per l’ennesima volta Balotelli non sembra troppo affidabile.
Quando nel luglio scorso Immobile arrivò nel ritiro estivo dei granata, dovette subito affrontare una situazione parecchio complicata: primo giocatore della storia in comproprietà tra Juventus e Torino (“Gobbo con la faccia da gobbo”, disse qualcuno), Ciro veniva da una stagione balorda con il compito di sostituire Rolando Bianchi, ex capitano e goleador amato dai tifosi. Nessun proclama da parte sua, solo molto lavoro silenzioso, e un po’ di furbizia: prima di un’amichevole estiva, invitato dai tifosi, si mise a saltellare al ritmo di “chi non salta bianconero è”. Tanto bastò, assieme alla sua grinta, per garantirgli un’assicurazione sulla pazienza della curva. L’inizio di stagione non fu esaltante, molta corsa e altrettanti errori, ma i tifosi seppero aspettare. L’allenatore Giampiero Ventura ha saputo rilanciarlo cambiandolo di ruolo: Cerci più largo a destra, e Immobile libero di inserirsi, correre, calciare, sbagliare e segnare. Soprattutto sbagliare: Ciro non è un killer infallibile, come si dice in gergo, vive fuori dall’area, ha bisogno di tre palle gol per segnarne una, ma ha la capacità di procurarsele. Ha coraggio in sovrabbondanza, non ha paura di tirare in curva per eccesso di foga, sa che al tiro successivo la infilerà sotto l’incrocio. Ragazzo tranquillo, passa ore a riguardarsi i video che sua moglie gli invia sullo smartphone in cui sua figlia Michela esulta davanti alla tv che trasmette i suoi gol. Michela come sua mamma, cui è molto legato (si è fatto tatuare il segno di un suo bacio addosso) e con cui si scambia sms portafortuna prima delle partite.
Al di là della retorica sullo scugnizzo buono contrapposto al bresciano di colore cattivo (Balotelli), Immobile è uno che nello spogliatoio incide senza apparire, che sa farsi ben volere anche da chi è in competizione con lui (tranne a Genova, dove raccontano che Borriello lo isolò dal gruppo). Al Torino per certi versi ha rubato in parte la scena a Cerci, già idolo dei tifosi, ma diventando uno dei suoi migliori amici. Non è un campione costruito, appare genuino, ma non fesso: il suo approdo al Borussia Dortmund è stato pensato, desiderato e voluto con applicazione e intelligenza. Immobile si è mosso per dieci mesi tra telecamere e taccuini con l’astuzia di chi sa pesare le parole. Nessuna dichiarazione di amore eterno al Torino, ma molte frasi in parte equivocabili (“Mi seguono grandi club? Ma io sono già in un grande club”), accompagnate da prestazioni che in granata non si vedevano da decenni. A differenza di tanti attaccanti moderni, Immobile è cresciuto in una sorta di cultura dell’errore: sa che può sbagliare, ma dopo un errore decisivo non passa la mezz’ora successiva a rimuginare sul pallone mancato, ha già la testa sull’assist che sta per arrivare.
Chi lo conosce bene garantisce che se stasera partirà titolare, Immobile non sentirà particolarmente la pressione di stampa, tv e opinione pubblica che lo vuole in campo da subito. Quando Balotelli giocava in Champions con l’Inter lui era ancora nella Primavera della Juve, e mentre Mario volava a Manchester ricoperto d’oro a fare fortune e sfortune del City in Premier League, Ciro passava da un prestito all’altro senza notorietà, fino alla stagione da record nel Pescara di Zeman, in serie B. E’ abituato a partire in sordina, non si impressionerà neppure stasera. Piuttosto, potrebbe patire proprio Balotelli, se l’attaccante del Milan gli giocherà troppo vicino rubandogli gli spazi. I suoi partner ideali sarebbero Cerci (con lui 35 gol in due e più di dieci assist in una stagione) e Insigne (con lui l’anno pazzesco in Abruzzo). Prandelli però non vuole rischiare a mettere in panchina Balotelli, ma l’Italia per una volta spererà più in Ciro che in Mario.
Se si chiede a un tifoso del Torino che cosa ne pensa di Immobile, passato il momento di dolore per il “tradimento”, i suoi occhi non potranno non andare alle 22 perle incastonate nella migliore stagione granata degli ultimi vent’anni. C’è una partita che dice tutto di lui. E’ Roma-Torino, girone di ritorno. All’inizio del secondo tempo Immobile segna il suo gol più bello, calciando al volo di sinistro sul secondo palo un lancio di quaranta metri di Vives, la difesa giallorossa impietrita a guardare la prodezza. Al 91’, sull’1-1, è al limite dell’area granata, recupera l’ennesimo pallone della partita e scatta per un contropiede che potrebbe regalare la vittoria alla sua squadra. Immobile però inciampa sul pallone, la Roma recupera e segna la rete del 2-1. A fine partita nessuno – compagni, allenatore, tifosi, giornalisti – riesce a dargli la colpa per quell’errore. Generoso è una parola che dice troppo poco, forse, ma è l’unica che possa far capire quello di cui stiamo parlando.
Il Foglio sportivo - in corpore sano