Perché catturare un jihadista in Libia fa perdere consensi a Obama
Abu Khattala è accusato dell'attentato di Bengasi del 2012. Ma per i repubblicani il presidente vuole solo provare a nascondere gli insuccessi in Iraq
Il jihadista libico Ahmed Abu Khattala, presunto organizzatore dell’attentato di Bengasi del 2012 in cui morì l’ambasciatore americano Christopher Stevens e catturato in Libia lo scorso 17 giugno dalla Cia e dall’Fbi, si trova ora a bordo di un’unità della Marina statunitense, la USS New York. Secondo fonti del Pentagono, Khattala è diretto verso gli Stati Uniti e starebbe rispondendo alle domande degli agenti riguardo al ruolo che avrebbe ricoperto nell’attentato. Tuttavia, quello che il presidente Obama ha definito “un successo” e un “messaggio per il mondo intero” quando gli Stati Uniti vengono attaccati, rischia ora di trasformarsi in un boomerang per la Casa Bianca. Doveva essere una risposta alle polemiche dei repubblicani, Dick Cheney in testa, sull’inazione di Obama contro gli estremisti islamici dell’Isis che nelle stesse ore attaccavano Mosul in Iraq. Invece, la tempistica dell’operazione e i dubbi sul ruolo di Khattala nell’attacco al consolato hanno sollevato nuove critiche nei confronti dell’allora segretario di Stato Hillary Clinton e dello stesso Obama, accusati dai repubblicani di aver ordinato solo ora la cattura per far passare in secondo piano il loro fallimento in Iraq.
Del resto, quello di Khattala non era un nome nuovo per il Pentagono. Emerse immediatamente dopo l’attentato del 2012 come principale sospettato per l’uccisione dell’ambasciatore e di altri tre funzionari americani. Khattala, che ha sempre respinto ogni accusa, era stato notato da alcuni testimoni dare ordini a uomini armati all’esterno del consolato di Bengasi al momento dell’attacco. Ma nel frattempo, tra lo stupore generale, Khattala aveva trovato il tempo di rilasciare interviste durante la sua latitanza, dapprima al New York Times e più recentemente al New Yorker. Mentre la Cia giurava che fosse in fuga nel deserto libico, i giornalisti lo intervistavano “sorseggiando frappè alla frutta” seduti comodamente al bancone di un lussuoso hotel di Bengasi, città che in realtà il jihadista non aveva mai abbandonato.
Anche le testimonianze raccolte tra i residenti della periferia di Bengasi, nei pressi della villa dove è stato catturato, hanno sollevato perplessità sul profilo del jihadista. Nato presumibilmente nella città della Libia orientale, Khattala dovrebbe avere tra i 40 e i 50 anni. Di lui esiste una sola foto, forse scattata durante la sua prigionia nelle carceri gheddafiane dove era finito per via della sua militanza tra i gruppi islamisti. Alcuni lo hanno descritto come una testa calda pronto a dare la vita per l’Islam e in contatto con militanti islamici stranieri. Altre versioni parlano invece di “un tipo riservato” e “un po’ strambo”. A descriverlo in questi [**Video_box_2**]termini è stato Mohammed Abu Sidra, membro del Consiglio nazionale libico. I due si erano conosciuti in carcere. “Era una persona semplice che parlava poco”, ha detto al Washington Post, mostrandosi sorpreso dalle accuse avanzate contro il jihadista. Nel 2011, allo scoppio della ribellione contro il regime, Khattala ha formato una brigata chiamata Abu Ubaida bin Jarrah. Sospettata di aver ucciso il ministro dell’Interno di Gheddafi, Abdelfattah Younes, la milizia di Khattala si auto-proclamava affiliata ad Ansar al Sharia, il gruppo jihadista libico a cui ha recentemente dichiarato guerra il generale Khalifa Haftar. La brigata ha avuto vita breve e si è sciolta nel 2012 ma non è chiaro se prima o dopo l’attentato.
Khattala dovrà quindi comparire davanti al tribunale di Washington, dove è atteso forse per il prossimo fine settimana. La rendition più morbida, in stile obamiano, prevede che sia l’Fbi a condurre le indagini invece che la Cia. Altro aspetto contestato dai repubblicani. I senatori John McCain e Lindsey Graham hanno già chiesto che Khattala venga interrogato dai servizi a Guantanamo, mettendo così in dubbio le capacità dell’Fbi nel raccogliere informazioni di intelligence al posto della Cia. E ora, quasi a sancire il fallimento dell’effetto mediatico dell’intera operazione, un nuovo sondaggio del Wall Street Journal ha ribadito che solo il 37 per cento degli americani è soddisfatto della politica estera di Obama.
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