Suárez, il ghigno che ci manca
E’ lui il mio uomo, il mio tipo. Pagherei per andare a cena col suo psicoanalista. Ma la nostra figaggine stanca è stata rottamata. Suárez è precisamente il contrario del panorama umano vittimista dell’italianità.
Va bene, s’è capito, l’Italia non era in forma, non era abbastanza patriottica, non aveva il fuoco nella pancia, e la sua classe brillante, la sua figaggine andava ed è stata rottamata. Ce l’aveva fatta col fair play degli inglesi, che ci hanno preceduto di una spanna all’inferno dei beneducati, e poi uno sconquasso di debolezza, neghittosità, maniere buonine e vittimismo a schiovere. Perfino con il Costa Rica. Ma Suárez?
Non lo conoscevo, non avevo mai seguito le sue gesta nel campionato inglese, ma appena l’ho visto mi sono detto: è il mio uomo, il mio tipo, ha un sorriso diabolico, una facies lombrosiana da avanzo di galera, una capacità bestiale e balorda di trattare la palla dopo averla agganciata, e di tirarla. Il morso, poi, la sua premeditazione, il suo arrivo da dietro, senza farsi scoprire, una specie di delirante dietro-le-quinte, è stato monumentale. Volete che esca dai Mondiali, e per un pareggio, una squadra che ha nel suo seno il talento e la sguaiataggine, la violenta volontà di potenza, di un uomo così? Fuori dai Mondiali un paese che vuole liberalizzare la droga, il cui presidente ex montonero vive lontano dalla capitale e coltiva l’orzo e recita da nonno della Repubblica in un trionfo di sinistra nel suo Dopoguerra di guerriglia? Il cipiglio di Suárez mi è estraneo, preferisco le geometrie anche stanche di un Pirlo e l’accomandita calcistica della mia famiglia nazionale, l’accademia degli eleganti. Non sopporto i processi postumi, siamo sempre convinti che l’Italia non è degna di vincere e quando vince gridiamo al miracolo (vi ricordate il grande saggio di Vittorio Sermonti sul Mundial che vincemmo dopo performance, sul campo e nei giornali e al bar sport, da oratorio di periferia?).
Il ghigno di Suárez è precisamente quello che manca, morsi ed eventuali squalifiche a parte, al panorama umano dell’italianità.
Dobbiamo esserne fieri? Dobbiamo censurare negli altri quel che manca a noi? Non lo so. Forse è troppo. Ma quell’aria da bambino di Balotelli e quei giri di frase narrativi di Pirlo, comprese le geometrie da fermo, sono precisamente il quid di cui disponiamo e insieme il quid che ci manca. Non solo sui campi di calcio. Ci vuole del talento a essere così figli di puttana. Darei molto denaro per stare a tavola con lo psicoanalista del morsicatore, l’uomo che ha tentato di trasformarlo in paziente. E quel talento lì, quella sfacciataggine che va dalla presa di Suárez sull’incolpevole Chiellini, fino alla simulazione del mal di denti da fallo subito, e che è paragonabile soltanto al celebre gol di pugno di Maradona, ecco, quello e quella non ce l’abbiamo. Mi spiace.
Il Foglio sportivo - in corpore sano