Più che il morso, però, la testata
Lo faceva Mike Tyson, uno che fa a pugni e basta. Era una specie di camorrista della boxe, dunque un intruso nella nobile arte.
Più che mordere, mangiare. Mordere per staccare un lacerto e poi sputarlo è da animale. Lo faceva Mike Tyson, uno che fa a pugni e basta. Era una specie di camorrista della boxe, dunque un intruso nella nobile arte. Staccava le orecchie agli avversari. Ma non le inghiottiva. Le scaracchiava.
Più che mordere, mettere dentro. L’idea che ho dello sport è quella del motto di Benito Paolone che, tra i lari del rugby, è il più caro. “Ti mangio il cuore”, diceva. E lo raccomandava ai suoi atleti. Mangiare è un atto di cura e di combattimento. Il più potente incontro tra le anime è l’eucarestia reciproca, inghiottirsi e masticarsi, come nell’eros trionfante. Come nell’attraversare i sudori, planare e poi avvinghiarsi. In una mischia di scossoni e acchiappi. E dunque quel cuore, da mangiare.
Più che mangiare, possedere. Come il tango è l’unica forma di amplesso lecita in luogo pubblico, così lo sport è l’unica forma di frociaggine lecita tra gli applausi del pubblico. E quindi, il cuore. Da sbattere.
Più che il morso però, la testata. L’unica cosa che mi è rimasta appiccicata del calcio – oltre all’urlo di Marco Tardelli, pari a Stentore, l’araldo di Ilio la cui voce raduna quella di cento guerrieri – è la possente craniata di Zinédine Zidane. Fu reazione a provocazione, costò alla squadra – la Francia – dell’immenso Zizou la sconfitta ma fu come lo scatto del balilla a Genova, fu il ruggito delle dune berbere, fu il segno chiaro di un confine: di qua il sangue, di là l’oro.
Quella testata – determinò l’espulsione del campione, la sua uscita di scena – offrì alla nazionale italiana di vincere il Mondiale 2006 ma più che un tiro in porta, quello, fu tutto un altro virtuosismo: solo un dare della puttana a una donna. La destinataria della cortesia fu la sorella dell’algerino e come nella sfida tra Orlando e Rinaldo fu più comodo avvelenare il sangue con le ingiurie che con i colpi di spada. E se gli insulti scivolano quieti sulla nostra pelle, sulla corazza dei puri di cuore – specie se forgiati nelle sabbie, inteneriti nel groviglio di onore e famiglia – provocano la rabbia elegante che dà la gloria, certo, ma quella propria dei vinti.
E però la testata. E’ il sangue agli occhi, il segnale di vita di una virtù da tutti omai rinnegata: essere uomini.
Il Foglio sportivo - in corpore sano