Il torvo e illiberale spirito di forca di un comitato di redazione
Con la galera un numero crescente di italiani intrattiene una relazione mentale ributtante. Cominciò Travaglio, che sul giornale di Gramsci augurò a Contrada malato di finire i suoi giorni in carcere. Poi è stato il turno di Cuffaro.
Con la galera un numero crescente di italiani intrattiene una relazione mentale ributtante. Cominciò Travaglio, che sul giornale di Gramsci augurò a Contrada malato di finire i suoi giorni in carcere. Poi è stato il turno di Cuffaro, premiato con l’ostracismo morale e l’interdizione alla pensione per il suo impeccabile comportamento carcerario, e per lo spirito di espiazione che ha espresso senza per questo dichiararsi colpevole. Ora è arrivato il caso Dell’Utri, con un gruppo di giornalisti, appartenenti a un comitato di redazione, che ha sputtanato tutto ciò in cui un giornalista dignitoso dovrebbe credere, a partire dalla libertà di espressione e dal senso di umanità verso un detenuto che, anche in questo caso, rivendica la sua non colpevolezza ed è stato condannato al termine di un processo ventennale, ultra-indiziario e fondato su un capo di reato inafferrabile, criticato da menti giuridiche indipendenti, in un contesto di rovente e malmostosa lotta politica faziosa (quella contro Berlusconi).
Ma lasciamo stare il fatto che Contrada era un superpoliziotto e servitore dello stato che trattava i mafiosi come confidenti secondo vecchie tecniche e vecchie culture poi seppellite dal fenomeno utile ma ambiguo dei pentiti, che Cuffaro è stato messo alla gogna per avere offerto una guantiera di cannoli nel corso di una conferenza stampa e condannato per un favoreggiamento il cui dolo con l’aggravante mafiosa era tutt’altro che dimostrato, che Dell’Utri è in carcere per un reato inesistente in qualunque codice rispettabile di un paese retto dallo stato di diritto, il concorso esterno. Se anche gli amici corleonesi di Riina avessero comprato una pagina di giornale per testimoniare il loro affetto al boia mafioso pluricondannato per strage, non cambierebbe nulla. Non si fa. Non si coltivano sentimenti tanto penosi, tanto facili, tanto rabbiosi e inumani verso nessuno. E non si nega per alcuna ragione il diritto alla pubblica espressione di una vicinanza umana a chi sia in carcere, con condanna definitiva, in espiazione anche del peggiore dei reati. Guai ai vinti è realismo barbarico.
Il problema non è il carcere, il suo carattere afflittivo o redentivo, le condizioni giudiziarie in cui si trova il condannato: il problema è l’uso che facciamo della nostra libertà, lo sguardo che rivolgiamo a chi ha perso il diritto allo sguardo, insomma l’elemento torvo di accanimento che distingue quel tipo di comportamenti umilianti per chi li pratica, prima di ogni altra cosa. Di fronte a certi modi dell’animo ci vorrebbe un’omelia più che un articolo di giornale o una lezione di spirito liberale. L’amnistia l’abbiamo cancellata dall’orizzonte del possibile politico e civile. Della grazia facciamo un uso parziale e strumentale, sottoponendo la clemenza di stato allo scrutinio del politicantismo più becero. E poi ci sciacquiamo lo spirito parlando da mane a sera di tenerezza e di misericordia. Mi aspetterei da un bravo prete, da un frate, da una di quelle autorità spirituali che trafficano in ottimi sentimenti, quando non costa niente, e quando rende molto, un intervento a correzione dello spirito filisteo e illiberale che affligge i celebranti dell’idolo carcerario. Mi aspetterei una perorazione intelligente in favore del dubbio etico e spirituale, di fronte a quelle certezze da forca. Che cosa ci sta a fare la chiesa nella società secolare?
Ma aspetto e aspetterò invano. L’imbecille di turno si lamenta perché gli amici di Dell’Utri hanno soldi abbastanza da comprare una pagina solidale di giornale, come se fosse un’aggravante morale prendersi nell’unico modo possibile, in ragione della libertà d’animo e di tono di una società evoluta, lo spazio necessario all’amicizia incondizionata. La torvaggine contemporanea non ha limite, e la nostra capacità di risposta è inesistente.
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