Le lacrime di Julio Cesar e il cielo sopra al Corcovado
1-1 con il Cile dopo 120', poi l'ex portiere nerazzurro para due rigori e i verdeoro si qualificano ai quarti di finale.
Alle 15 e 44 di un pomeriggio di sole e emozioni forti, in un sabato niente affatto banale, al centro esatto dello stadio Minerao, c’è il portiere del Brasile, Julio Cesar, che sta piangendo.
Il piccolo Alexis Sanchez, invece, si asciuga il sudore con aria furba, Hulk chiede per l’ennesima volta il calore della gente alzando vorticosamente le braccia in un movimento ipnotico e la traversa colpita qualche minuto prima da Pinilla sta ancora tremando. Più in là duecento milioni di brasiliani stanno tremando. Dalle piste di elicottero sui grattacieli miliardari di San Paolo, fin giù, dentro alle favelas disperate, dal lungomare eterno di Barra de Tijuca, fino alle camicie piene di umidità amazzonica del Rio Grande guardano impauriti questo (Bruto) Horizonte. Nella testa, nitido, l’incubo di un nuovo Maracanazo.
Nel discorso alla squadra di Scolari, nell’abbraccio collettivo, il tentativo disperato di esorcizzare il panico, il rosario stretto nella mano del CT che dopo aver perso incredibilmente un europeo in casa contro la Grecia, a Lisbona nel 2004, conosce benissimo il sapore acre della sconfitta casalinga e inattesa.
Eppure sembrava tutto semplice, un’ora e mezzo prima, quando il ricciolone David Luiz la sfiorava, in contemporanea con Jara e tirava fuori la lingua per il gol del vantaggio. Eppure molte altre volte dopo la sciagura difensiva che aveva regalato l'1-1 al Nino Maravilla, il Brasile aveva dato la sensazione di poterla portare a casa, per il bene suo e della tutta la santa Fifa che vuole una finale da sogno tra Messi e Neymar.
Comunque sia, le chiacchiere stanno a zero. Perché dopo 120 minuti densi e nervosi, confusi e a tratti disperati con la testa di Gene Hackman continuamente oscillante, da destra a sinistra, segno evidente della sua delusione, contano solo i rigori.
Il primo è David Luiz, l’uomo per il quale il Paris Saint Germain ha appena pagato quasi sessanta milioni, facendo ridere molti. Va verso il dischetto con la sua arma migliore, la totale assenza di paura. Corre come se stesse con i figli al parco. E fa 1-0, liberando sorriso e rabbia. Come nulla fosse. Pinilla invece vede i fantasmi in quella porta maledetta, in quella traversa appena colpita. Julio Cesar para e gode come un riccio. Sempre 1-0. Toda joia.
Anche Willian ha i ricci, come David Luiz, ma lo vedi da come approccia il dischetto che ha paura. Spiazza ma colpisce male. Lento e fuori. Così il Cile può pareggiare. Va Alexis Sanchez , gasato dal gol dell’1-1 nel primo tempo. Tira angolato ma Julio Cesar ha un balzo assurdo e prende anche questa. Sempre 1-0 e mancano tre rigori.
Altro riccio, Marcelo, uno che ormai conoscono tutti, per l’autogol con la Croazia e perché è il sosia di Ficarra. Tira male e centrale. Il portiere la sfiora, la tocca ma non riesce a spostarla. Gol del 2-0 Brasile e tutto a posto. O no?
No. Succede infatti che il cileno Aranguiz tiri una bomba da fermo, all’angolo e stavolta Julio rimane immobile (2-1). Poi Hulk si porta dietro frustrazioni, angosce e polemiche per il gol che Webb gli ha annullato nel secondo tempo. Fa un casino e tira centralissimo. Il cileno Diaz, invece segna. 2-2.
Adesso, sono le 15 e 56 e tutto è di nuovo pari. Manca solo un rigore. Scolari stringe il rosario ancora più forte, David Luiz guarda il cielo e piange, tutto si ferma. La telecamera va su Neymar. Piano sequenza, poi stacca sui suoi occhi. E’ un 22enne ricco e famoso. Cambia acconciatura ogni martedì. La sua fidanzata, Bruna di nome e di fatto, è il sogno erotico di mezzo Brasile. Lui ci passa allegre serate. E non ci invita. Eppure in questo istante, forse per un attimo sta rimpiangendo una vita semplice, senza questo stress enorme, o la sua infanzia, quando se avevi paura potevi piangere e al massimo ti davano uno schiaffo.
Si sistema la maglia numero 10, quella da predestinato. 4 gol in questo Mondiale, 35 in verdeoro. A 22 anni solo Pelè ha fatto meglio di lui. Non sembra sicuro, parte, si ferma, finta, controfinta, poi trova l’angolo, sceglie di andare a sinistra. Bravo, il portiere, è già di là. Gol. Si accendono le luci qui sul palco.
Ma non è finita, adesso tocca a Jara, per allungare la partita e spostare la notte cilena più in là. Tira angolato, spiazza Julione. Ma è troppo largo, palo interno. Cinque centimetri più in qua e sarebbe stato gol. E sarebbe stata un'altra storia.
Invece adesso c’è Scolari che salta e ride e piange e abbraccia tutti. Va incontro a Neymar e la telecamera coglie il labiale: “meu filho”, figlio mio. Mentre sul Cile scende la tristezza dell’impresa solo sfiorata. Il tatuaggio sul collo di Edu Vargas dice “life is everyday”. Ma esistono giorni più pesanti, evidentemente. Quelli in cui la storia passa davanti e bastano pochi centimetri a decidere se te la prendi o se ti scappa via.
Intanto, il cielo sopra al Corcovado sembra sorridere.
Il Foglio sportivo - in corpore sano