Matteo Renzi e Andrea Orlando (foto LaPresse)

Processo alla gogna

Intercettazioni e privacy. Quel testo segreto contro l'Italia degli origliatori

Claudio Cerasa

Abusi, fughe di notizie, eccessi. Il fax inviato dal ministero e le parole del Garante: “Basta con la barbarie”. Oltre le linee guida di Renzi.

Roma. Lo scorso undici giugno, alle tre del pomeriggio, dal numero di fax del ministero della Giustizia è partito un documento importante, finora inedito, inviato da Claudia Pedrelli, capo del dipartimento dell’Organizzazione giudiziaria di Via Arenula, ai procuratori generali presso le Corti di appello, al procuratore nazionale Antimafia e al procuratore generale presso la Corte di cassazione. Il documento – di cui il Foglio è entrato in possesso – è composto da venti pagine e riguarda un tema intorno al quale il governo Renzi continua a fischiettare ma che prima o poi il presidente del Consiglio sarà costretto a prendere di petto: le “misure di sicurezza necessarie” da prendere nell’ambito “del trattamento dei dati personali presso le procure della Repubblica nelle attività di intercettazione”. Il testo fissava alla data di ieri, lunedì 30 giugno, il termine massimo per presentare al ministero gli elementi utili a conoscere nel dettaglio la situazione dello stato di attuazione di una prescrizione del Garante della privacy pubblicata il 18 luglio del 2013 in Gazzetta Ufficiale. Prescrizione che metteva in luce la persistenza all’interno del sistema giudiziario di una serie di meccanismi “che rendono necessario un rafforzamento del livello di protezione dei dati personali” (tradotto dal giuridichese significa che l’attuale sistema utilizzato per raccogliere informazioni attraverso lo strumento delle intercettazioni telefoniche presenta molte zone d’ombra che incentivano e incoraggiano le fughe di notizie).

 

Il documento segnala dunque un’emergenza vera all’interno delle procure rispetto alla possibilità che conversazioni private e casualmente intercettate possano essere utilizzate in modo improprio e finire così sulle pagine dei giornali. Ma oltre alle questioni tecniche legate all’organizzazione degli uffici, alla diffusione eccessiva dei dischetti con le intercettazioni, all’accesso non controllato alle stanze delle registrazioni, il punto è semplice: esiste o no anche un problema ulteriore, non solo tecnico, e di carattere giuridico-culturale legato al sistema delle intercettazioni? Il Foglio lo ha chiesto direttamente al Garante per la privacy, Antonello Soro, scuola Pd, ex capogruppo alla Camera, e, a sorpresa, il Garante non ha usato parole vellutate per inquadrare il punto ma è andato direttamente alla radice della questione. Utilizzando espressioni forti. “Barbarie”. “Vergogna”. “Giornalismo di trascrizione”. Dice Soro: “Credo sia arrivato il momento di smettere di utilizzare, rispetto al tema delle intercettazioni, uno stile diplomatico e ovattato. Credo, invece, sia arrivato il momento di dire la verità. E la verità è che le intercettazioni sono uno strumento prezioso, insostituibile, grazie al quale negli ultimi anni le autorità giudiziarie sono riuscite a portare avanti indagini importanti e a garantire la sicurezza dei cittadini. Tutto questo è vero, e solo chi è in malafede può negare la premessa. Ma quando si parla di sicurezza bisogna tenere un altro punto in considerazione. Un altro diritto. Quello che negli ultimi anni è stato troppo spesso calpestato e che riguarda la violazione della privacy delle persone che spesso finiscono nel frullatore giudiziario senza essere neppure indagate”.

 

Continua Soro: “Negli ultimi anni ho assistito a un gioco perverso in cui, all’interno delle indagini, i dati personali sono stati utilizzati come ingredienti utili a condire un processo o un’indagine, e a renderla più accattivante – e mi verrebbe da dire più gustosa. Per dire. Perché di una persona non indagata devo sapere vita, morte e miracoli da una intercettazione pur essendo quella persona non coinvolta in un’indagine? Perché di una persona non indagata – o magari anche solo indagata – devo sapere tutto sui suoi orientamenti sessuali, delle sue amanti, della sua vita privata, delle sue frequentazioni pur essendo questi argomenti del tutto estranei ai temi legati all’indagine? Davvero vogliamo credere che sia giusto calpestare i diritti di una persona finita, magari, agli arresti domiciliari? E chi restituirà a quella persona il suo onore nel caso in cui l’inchiesta dovesse sgonfiarsi? Da questo punto di vista la parola giusta per inquadrare questo fenomeno è ‘barbarie’, o forse ‘gogna’, e spesso ci si dimentica di ricordare che anche le persone condannate hanno dei diritti che vanno comunque rispettati. La mediatizzazione e la spettacolarizzazione della cronaca giudiziaria ha raggiunto dei livelli non compatibili con la riservatezza delle persone e, per questo, come segnaliamo da tempo anche noi, occorre agire per mettere in sicurezza i dati sensibili. Cosa andrebbe fatto per garantire questi diritti? Ci sono due strade. La prima è di carattere legislativo. La seconda è di carattere culturale”.

 

Dal punto di vista legislativo Soro sostiene che sarebbe corretto far girare tutto attorno all’udienza-stralcio, ovvero un’udienza in cui giudici e avvocati decidono insieme qual è il materiale probatorio rilevante che entra davvero a far parte del processo. “Prima dell’udienza sarebbe giusto pubblicare solo la sintesi delle intercettazioni. Dopo l’udienza andrebbero stralciate le intercettazioni superflue, non legate alle indagini, e andrebbe messo a disposizione delle parti, e dunque dei giornalisti, solo il materiale inerente ai reati contestati”. Semplice no? Il ministro Andrea Orlando è in linea di massima d’accordo con questo approccio ma quando ieri il governo Renzi ha esposto rapidamente e sommariamente le linee guida della prossima (e molto futura) riforma della giustizia, le intercettazioni – anche per evitare forse di ritrovarsi puntati i cannoni delle gazzette delle procure – sono state comprese solo in modo generico tra i temi chiavi della riforma immaginata dal presidente del Consiglio (Renzi ha ammesso di non avere un’idea precisa sul punto e ha chiesto ai direttori dei giornali di dargli qualche suggerimento e qualche indicazione sul tema) . Dal punto di vista culturale l’argomento è più delicato e, secondo Soro, riguarda tanto i giornalisti quanto i magistrati. “La gogna ha diversi padri, non è mai solo una banale fuga di notizie ma è legata anche a un uso improvvido che avvocati e cronisti fanno del materiale che ricevono. E fino a quando non ci sarà una maggiore attenzione personale al tema della privacy la barbarie continuerà”. Soro fa un esempio. “Io non sono tra quelli che vogliono mettere bavagli alla stampa o ostacolare la pubblicazione delle notizie. Io dico una cosa molto diversa. Dico che negli ultimi anni abbiamo assistito tutti senza indignarci al proliferare di un fenomeno discutibile come quello del giornalismo di trascrizione. Ovvero una forma di giornalismo che pesca dalle intercettazioni tutto quello che possa assecondare gli umori dei lettori, e che spesso non coglie che cosa può produrre nella vita delle persone la pubblicazione di frasi decontestualizzate e di notizie personali che nulla hanno a che fare con un’inchiesta, un’indagine o un processo. Non voglio fare nomi, ma mi sembra evidente che i giornalisti che si occupano di giudiziaria si dividono ormai in due categorie: chi utilizza le intercettazioni come uno strumento utile a ricostruire un’indagine, ma non il solo strumento; e chi invece rinuncia a fare giornalismo, rinuncia a cercare notizie, rinuncia a ricostruire un’indagine nella sua interezza e, in nome di un voyeurismo esasperato, si riduce a fare solo il trascrittore. Io ho sempre pensato che fosse necessario una sorta di autodisciplina da parte dei giornalisti e ovviamente questo è utile ma non basta. Bisogna fare di più. Fuori e dentro le istituzioni”.

 

E Renzi? Il documento di cui abbiamo dato conto all’inizio dell’articolo in realtà proviene dal governo, e in particolare da un ufficio del ministero della Giustizia, ma da qui a dire che l’esecutivo oggi sia impegnato in prima linea contro la repubblica degli origliatori ce ne vuole. Non è così. Il fax inviato dal capo del dipartimento dell’Organizzazione giudiziaria di Via Arenula infatti recepisce un’indicazione vincolante espressa dal Garante della privacy e non una richiesta del governo (e se entro il febbraio 2015 le procure non avranno rispettato le richieste del Garante arriveranno multe severe).

 

Si tratta più di una questione tecnica che politica. E il fatto che il presidente del Consiglio sia molto prudente sul tema (eufemismo); e il fatto che la scorsa settimana il Pd abbia prontamente smentito che la riforma della giustizia avrebbe aggredito il capitolo legato alle intercettazioni non si può dire che sia un segnale particolarmente incoraggiante per tutti coloro che sperano di ritrovarsi di fronte un governo capace di rottamare la repubblica degli origliatori. Il presidente del Consiglio ieri ha annunciato in conferenza stampa, al termina del Cdm, i dodici punti che andranno a costituire il cuore della futura riforma della giustizia: riduzione dei tempi della giustizia civile (“il primo grado dovrà durare un anno”); meno peso alle correnti nel Csm (“noi non siamo contro le correnti nella magistratura, vogliamo che chi faccia carriera lo faccia non sulla base di un’appartenenza”); responsabilità civile sul modello europeo; accellerazione del processo penale; riforma della prescrizione; riforma del disciplinare delle magistrature speciali; tutela della privacy nell’ambito delle intercettazioni  (“unica norma del pacchetto sul quale non abbiamo ancora una norma”, ha confessato Renzi durante la conferenza stampa”). Più o meno tutti punti di buon senso. Con qualche omissione (nulla sulla separazione delle carriere; nulla sulla revisione dei criteri relativi all’obbligatorietà dell’azione penale). Buon senso, nulla di più. E chissà quanti di questi punti resteranno annunci e chissà quanti di questi Renzi avrà il coraggio di inserire in un decreto e di trasformare davvero in una legge.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.