Mosul senza messa dopo 1.600 anni. Il Papa evoca il sangue dei martiri
Ha voluto dedicare alla piaga del martirio, Francesco I, l’ultima omelia pubblica mattutina a Santa Marta prima della pausa estiva.
Roma. “La chiesa di Roma cresce irrigata dal sangue dei martiri. Pensiamo ai tanti martiri di oggi, che danno la loro vita per la fede. Sono stati tanti i cristiani perseguitati al tempo di Nerone, ma oggi non ce ne sono meno”. Ha voluto dedicare alla piaga del martirio, Papa Francesco, l’ultima omelia pubblica mattutina a Santa Marta prima della pausa estiva. “Pensiamo al medio oriente, cristiani che devono fuggire dalle persecuzioni, cristiani uccisi dai persecutori”, ha aggiunto il Pontefice, osservando però che “anche i cristiani cacciati via in modo elegante, con i guanti bianchi, sono dei perseguitati”. Oggi, ha detto ancora Francesco, “ci sono più testimoni, più martiri nella chiesa che nei primi secoli. E in questa messa, facendo memoria dei nostri gloriosi antenati, pensiamo anche ai nostri fratelli che vivono perseguitati, che soffrono e che con il loro sangue fanno crescere il seme di tante piccole chiese che nascono”. Lo sguardo di Bergoglio va all’Iraq, dove la situazione appare di giorno in giorno sempre più critica. Anche domenica, nel corso dell’Angelus, Francesco aveva speso parole sulla situazione irachena: “Le notizie che giungono sono purtroppo molto dolorose. Mi unisco ai vescovi del paese nel fare appello ai governanti perché, attraverso il dialogo, si possa preservare l’unità nazionale ed evitare la guerra. Sono vicino alle migliaia di famiglie, specialmente cristiane, che hanno dovuto lasciare le loro case e che sono in grave pericolo. La violenza genera altra violenza; il dialogo è l’unica via per la pace”. Un appello analogo, il Pontefice l’aveva lanciato il 15 giugno scorso, sempre durante la preghiera domenicale dallo studio del palazzo apostolico.
Proprio quel 15 giugno, per la prima volta negli ultimi mille e seicento anni, nessuna messa cristiana era stata celebrata a Mosul. La conferma è arrivata direttamente dall’arcivescovo caldeo di Erbil, mons. Bashar Warda. Sono pochi i cristiani rimasti in città, e per lo più si tratta di vecchi impossibilitati a muoversi e a cercare rifugio magari tra le antiche mura del monastero di San Matteo, dove si prega ancora in aramaico. Sabato scorso, due suore e tre ragazzi sono stati fermati da alcuni uomini dell’Isis non lontano dalla casa famiglia per orfane che gestivano a Mosul, dove sarebbe stata occupata dai miliziani anche la sede dell’arcivescovado locale, riferisce l’agenzia Fides. “Mai, in tutti questi anni tremendi, avevamo abbandonato Mosul”, ha spiegato la superiora delle suore caldee, Luigina Sako, commentando il fermo delle due religiose. L’Isis, confermando il sequestro, ha fatto sapere che il tutto è stato fatto per garantirne “la sicurezza” e che i cristiani non devono sentirsi in pericolo.
Intanto, però, fonti dell’alta commissione irachena per i diritti umani sottolineano che dallo scorso 21 giugno nelle località conquistate dell’Isis si riscuote la jizya, la tassa che i califfi ottomani imponevano ai sudditi non musulmani. Molto più prudente, a Baghdad, si mostra il patriarca caldeo, Louis Raphaël I Sako, che conversando sempre con l’agenzia Fides non conferma “attacchi mirati contro chi porta il nome di Cristo a Mosul e nel nord dell’Iraq”. Spera ancora, il presule, di scongiurare la spartizione dello stato tra sciiti, curdi e sunniti, e per questo ribadisce la necessità di cercare un punto d’intesa che possa evitare ciò che oggi appare inevitabile, quel “destino obbligato” che sarebbe la divisione del paese. Ma se il patriarca predica unità ed evita i toni allarmistici, i suoi confratelli nel nord dell’Iraq delineano un quadro che si fa più critico di ora in ora, preoccupati anche dalle notizie che giungono dalla vicina Siria, dove nove uomini sono stati crocifissi dai miliziani sunniti. Nel pomeriggio di ieri, la presidenza delle conferenze episcopali europee ha espresso “ferma condanna e indignazione” per tali atti.
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