Da Sedan a Siviglia fino al Brasile. Francia-Germania non è mai finita
Il 4 luglio, i primi a scendere in campo, alle 18, saranno loro, Francia e Germania. L’unica volta che giocarono gioiosamente al calcio erano in guerra, quella vera, del 1914.
Il 4 luglio, i primi a scendere in campo, alle 18, saranno loro, Francia e Germania. L’unica volta che giocarono gioiosamente al calcio erano in guerra, quella vera: correva il 1914 e il giorno di Natale, qui e là lungo il fronte, soldati tedeschi, francesi (e inglesi) decisero da soli di fare una tregua, uscirono dalle trincee per scambiarsi qualche regalo e fare un paio di sgambate dietro una palla. “Pipes of peace”, canterà mezzo secolo dopo Paul McCartney, su quelle immagini.
Il pallone è pur sempre metafora, prolungamento della guerra e della politica con altro mezzo. In prima pagina ieri l’Equipe scrive “L’histoire recommence” in realtà tra di loro non c’è mai stato ricominciamento, la storia non si è fermata, mai. Sono fatti così, quando si scontrano è come se ancora si sentisse il bruit de bottes della Wehrmacht che scende i Campi Elisi, Parigi violata e martirizzata e l’Alsazia e la Lorena rubate, le ingiustizie di quell’armistizio che fecero la fortuna del nazismo. Diciamolo, abbiamo inventato l’Europa per evitare che questo si ripeta, per questo Mitterrand e Kohl si sono presi per mano a Verdun, per questo tutti noi abbiamo barattato la riunificazione tedesca con la museruola messa al marco, a volte ce lo dimentichiamo e dimentichiamo quanto questo Vecchio continente sia stato straziato nei secoli.
Loro che invece non dimenticano hanno accettato almeno il transfert simbolico su un campo di calcio. Così ogni partita fra di loro è rivalsa, esibizione di virile orgoglio contro la malinconia della storia e la cupezza del fato. Di Didier Deschamps, il tecnico francese, si diceva a suo tempo che era il portatore di acqua di Zidane, ma lui non si scomponeva, sapeva che ci sono piedi e piedi e continuò a macinare chilometri, centrocampista di lotta e di fatica, in silenzio.
D’acchito non avrebbe molto da temere da Joachim Löw, famoso più per i pullover sfoggiati che per i risultati conquistati ai Mondiali del 2010. Oggi è pure un po’ imbolsito, i suoi capelli sono di quel nero uniforme che tradisce accurata tintura. Nulla a che vedere con la fronte sguarnita del feldmaresciallo Von Moltke, che centoquarantaquattro anni fa, nella prima battaglia di Sedan, accerchiò Mac Mahon e Napoleone III e mise fine al secondo impero: e nemmeno ha il profilo di Heinz Guderian che nella seconda battaglia di Sedan inventò il blitzkrieg e mise nel sacco francesi, inglesi e belgi. Non sarà dunque Löw a decretare la finis Romae che tanto colpì Don Benedetto Croce, quello “schiacciamento da parte delle genti germaniche che sembrò avvolgere nel funebre sudario tutte le razze latine”.
Se il pericolo non viene dal tecnico può venire però dai giocatori, aggressivi spesso al limite della strafottenza. Harald Scumacher era il baffuto, massiccio portiere della notte di Siviglia. 1982, 8 luglio ore ventuno: allo stadio Ramón Sánchez Pizjuán, Germania ovest e Francia si affrontano nella prima semifinale del Mondiale spagnolo. I tedeschi, vincitori degli Europei del 1980. sono favoriti. La Francia fa il calcio champagne, ha un quadrato magico ma per esperienza internazionale è mignon. Diciassette minuti e tedeschi in vantaggio, dura poco, la Francia pareggia. Nel secondo tempo non succede nulla, solo una traversa francese all’ultimo minuto. Primo tempo supplementare, Francia subito in vantaggio, poi al 98’ addirittura 3 a 1. Sembra fatta, “allez les bleus Dieu est avec nous”, a Parigi cantano e si abbracciano.
Prima di accorgersi che c’è anche un Dio tedesco e crudele. Nel secondo tempo è pareggio tre a tre. Si va ai rigori: uno per parte a segno, poi la Germania sbaglia, nemmeno questa volta è fatta, subito dopo sbaglia un francese. Alla fine dei tiri regolamentari è ancora perfetta parità, si prosegue. Sbaglia un francese e fa centro il tedesco. Non ricordo di aver visto in giro lacrime e disperazione come quel giorno. E tanta rabbia e indignazione contro quel portiere, Schumacher che manco finge di cercare la palla ma esce dritto per dritto, per fare male, per spaccare ossa: Patrick Battiston cade a terra, perde conoscenza, esce in barella. Schumacher fissa giocatori e tifosi francesi braccia lungo il corpo e sguardo da impunito: di professione mostro, scriveranno l’indomani i giornali francesi, lui disse che gli avrebbe pagato il dentista. Manuel Neuer, portiere della Germania di oggi, non ha baffi ed è correttissimo, anche quando esce con i piedi. Anche questo un motivo in più per sperare per i galletti.
Il Foglio sportivo - in corpore sano