La rieducazione al gender è totalitaria e non funziona, dice Maffesoli

Nicoletta Tiliacos

Il governo francese, costretto dalle proteste delle famiglie a rinunciare al programma pro gender “Abcd de l’égalité”, lo ha riesumato in forma dedicata agli insegnanti e non più direttamente agli alunni. Un po’ di maquillage per identici scopi.

    Il governo francese, costretto dalle proteste delle famiglie a rinunciare al programma pro gender “Abcd de l’égalité”, lo ha riesumato in forma dedicata agli insegnanti e non più direttamente agli alunni. Un po’ di maquillage (anche nel nome: ora si chiama “mallette pédagogique”, valigetta pedagogica) per identici scopi: rieducare grandi e piccini al costante esercizio di azzeramento della differenza uomo-donna. Nel pensiero, prima che nelle azioni, spacciando l’indifferentismo sessuale per lotta agli stereotipi. I contorcimenti francesi sono istruttivi, visti dall’Italia, dove c’è chi vorrebbe emularli. Per questo, martedì scorso, il consiglio regionale lombardo ha approvato a maggioranza, su proposta dalla Lega nord e con il voto di tutto il centrodestra, una mozione “a sostegno della famiglia naturale” (l’Arcigay l’ha prontamente definita “abominevole” e “intrisa d’odio”).

     

    Eppure anche in Francia c’è chi pensa che, non solo a proposito di gender, “l’educazione che tende alla rieducazione è un metodo totalitario” e, oltretutto, non funziona. Lo afferma il sociologo francese Michel Maffesoli in un colloquio con lo psicologo Jean-Paul Mialet, sul sito Atlantico.fr. “Bisogna diffidare – spiega Maffesoli – dei tentativi di rieducazione condotti dal potere statale. La Norvegia, da tempo pioniera in questo campo, si è finalmente allontanata dalla teoria del gender dopo che molti studi hanno mostrato l’incapacità delle relative politiche messe in atto di venire a capo di certi comportamenti”. Mialet la definisce “educazione alla non-differenza” e ricorda che in Norvegia, “tuttora, il novanta per cento delle infermiere sono donne e il novanta per cento degli ingegneri sono uomini. Di fronte a questo scacco nell’influenzare le scelte, si è deciso di sopprimere le sovvenzioni all’Istituto governativo per gli studi di genere”. Maffesoli aggiunge che “una società incapace di riconoscere il primato della natura, una società convinta che l’uomo sia totalmente padrone di ciò che è, compresa la determinazione delle differenze tra femminile e maschile, è una società paranoica… Nella cultura giudaico-cristiana, Dio creo l’uomo e la donna ‘a propria immagine’; voler modellare ragazzi e ragazze a immagine di un umano omogeneo e senza asperità tradisce la stessa concezione. Non so che cosa dicano gli studi statistici sulle percentuali di maschi e femmine che preferiscono giocare al castello delle fate Playmobil o a quello dei cavalieri. Ma credo che bambini e bambine abbiano bisogno di immagini e di giochi per esprimere la loro parte maschile e femminile e che non è bene che gli adulti vogliano intervenire in questo processo”.

     

    Differenze tra maschi e femmine come prodotti esclusivamente culturali: questo presupposto del tutto arbitrario muove la gioiosa macchina rieducativa francese avviata dall’ex ministro Vincent Peillon e dalla ministra per i Diritti delle donne, Najat Vallaud-Belkacem. Ora che ci è saltato in corsa anche il nuovo responsabile dell’Educazione nazionale, Benoît Hamon, il percorso non cambia: ogni insegnante francese sarà tenuto a considerare la differenza sessuale come ineguaglianza “inferiorizzante”. Mialet nota che “l’uguaglianza dovrebbe essere concepita nella differenza. E’ un’uguaglianza di diritti tra gli individui, uomini e donne, che possono avere temperamenti e motivazioni distinti. Non è un’uniformizzazione sterilizzante”. E nemmeno, conclude Maffesoli, “la volontà isterica di cancellare le differenze”.