Konnichiwa Marchionne!
Passa dal Giappone la via asiatica di Fiat-Chrysler
Mitsubishi apre le porte di Tokyo e Mumbai. Lontano dall’Europa lenta.
Milano. La terza via dell’auto globale passa per l’Asia, caro Marchionne. Da solo non ce la farai a vendere 7 milioni di auto nel 2018, quasi il doppio di quelle che Fiat-Chrysler produrrà quest’anno, come hai promesso agli analisti. Soprattutto se parti con la zavorra di dieci miliardi di debito che limitano la tua azione. Ma c’è un posto dove una “Cenerentola italo-canadese” può andare al ballo e trovare le milioni di vetture che cerca: il Giappone.
A suggerirlo al numero uno di Fiat-Chrysler, che c’era già arrivato da solo, è il Financial Times di ieri cui non è sfuggita, nel giorno dell’annuncio di vendite trionfali per il gruppo in America, ma assai meno brillanti in Italia, una notizia all’apparenza marginale: la Chrysler venderà con il proprio marchio in Messico le berline prodotte in Thailandia dalla giapponese Mitsubishi. L’operazione, frenano da Tokyo, sarà limitata al paese del centroamerica (che comunque non ha barriere doganali con gli Stati Uniti) e riguarderà poche decine di migliaia di veicoli. “Io – protesta il ceo del gruppo nipponico, Osamu Masuko – Marchionne non l’ho mai incontrato”. Ma non c’è solo Mitsubishi. Secondo il Nihon Keizai Shimbun – il principale quotidiano finanziario nipponico – il partner ideale potrebbe essere Mazda, che ha appena liquidato l’alleanza storica con Ford. Marchionne e il suo omologo Masamishi Kogai hanno già siglato un patto “storico”: dalla fabbrica di Hiroshima uscirà, sia con il marchio Fiat sia Abarth, la MX-5 che in origine doveva essere lanciata come la nuova Duetto Alfa Romeo. Poi super Sergio ci ha ripensato: tutte le nuove Alfa dovranno uscire da fabbriche italiane. I giapponesi hanno capito o, forse, hanno deciso che la prospettiva di un asse, per ora commerciale, con Fiat-Chrysler può essere molto conveniente. E poi c’è Suzuki che non ha esitato a rompere l’alleanza con Volkswagen scegliendo i motori Diesel Multijet di Fiat e snobbando i propulsori che si fanno a Wolfsburg.
Insomma, non mancano i potenziali soci del Sol levante da associare nell’impresa dalle tante anime: Detroit, il Brasile, l’Italia sempre più caratterizzata dal lusso (Maserati, da sola, nel 2015 potrebbe compensare le perdite dell’area europea). Anche la struttura finanziaria di Fca, dopo la fusione offrirà nuovi margini: Exor, grazie alle possibilità offerte dalla legge olandese, potrà controllare il gruppo con una quota inferiore, rendendo possibile lo scambio “carta contro carta” con un altro produttore forte sui mercati in cui Fca non c’è o quasi. Può essere il caso di Mazda, assai attiva nell’estremo oriente asiatico. O più ancora di Suzuki che vende il 40 per cento dei 2,7 milioni di auto che produce nel subcontinente indiano, un mercato che negli ultimi cinque anni ha assorbito dieci milioni di vetture ma che potrebbe crescere assai nel prossimo futuro. Un’area, per giunta, che a Fiat ha riservato molte delusioni, non ultima l’alleanza con Ratan Tata, il tycoon indiano tra l’altro proprietario di Jaguar e Land Rover che ha conservato ottimi rapporti con Luca di Montezemolo, presidente Ferrari, ma che ha in pratica interrotto la collaborazione con Marchionne, che tanti frutti doveva dare in America latina.
L’eredità Agnelli e la dottrina Yamashina
Forse non è sbagliata la chiave giapponese per aprire le porte dell’Asia. Nel solco di una storia che ha radici lontane, come ha confermato la presenza al Sestrière dell’ambasciatore di Tokyo, Masaharu Kohno, alle celebrazioni per il decimo anniversario della scomparsa di Umberto Agnelli che fin dagli anni Ottanta ha a lungo coltivato rapporti stretti con il Sol levante, in aperta polemica verso le campagne contro “il pericolo giallo” alimentate nell’èra Romiti prima di convertirsi, tardi e male, ai metodi di produzione nati in Toyota.
Tutt’altra cosa rispetto alla disciplina e allo zelo con cui Marchionne ha convertito tutte le fabbriche al World class manufacturing, l’organizzazione del lavoro studiata dal professor Yamashina dell’Università di Tokyo, presenza abituale sia a Pomigliano sia a Detroit. Da lui la “Cenerentola italocanadese” ha già imparato a dire “Konnichiwa”, nella lingua dei samurai. E magari, come suggerisce il quotidiano della City, non guasterebbe conoscere “Namaste”, il saluto indiano.
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