Il Caimano e i frondisti

Giuliano Ferrara

A quale titolo il portavoce ufficioso di D’Alema (Minzolini), il cocco di Pannella (Capezzone) e un prof. di rango (Brunetta) rompono i coglioni al Cav. statista e riformatore? Il dissenso è legittimo, ma qui gatta ci cova

Ci si domanda a quale titolo gli rompano i coglioni. Espressione forte, e forse impropria, visto che alla fine si tratta di opinioni espresse in un dibattito di partito, con qualche minaccia di dissociazione finale che sa di pressione scissionista, ma le posizioni di un Augusto Minzolini, di un Renato Brunetta, di un Daniele Capezzone cercano e trovano una spiegazione in qualcosa che è abbastanza interessante. E rivelano l’altra faccia della politica italiana, quella che viene nascosta in nome della scia velenosa dell’antiberlusconismo (solo ieri Ezio Mauro, sacerdote dell’ideologia anti Cav., ha riconosciuto, diceva un titolo del sito di Repubblica sulla riunione di redazione, che “giustizia e tv non c’entrano con il patto sulle riforme”, ohibò).

 

Prima di tutto il direttorissimo (Minzolini), il portavocissimo del partito (Capezzone) e il presidentissimo dei deputati (Brunetta) si oppongono legittimamente, ciascuno per le sue ragioni, a una linea strategica che Berlusconi persegue dal novembre del 2011, anche quando (come nel caso della tattica di rimonta contro Monti e Bersani alle elezioni del febbraio 2013) la contraddice nel suo stile ellittico, pop, e un po’ sfrenato ma molto redditizio in termini politici. Mentre il bel mondo dei suoi Arcinemici si interrogava sul grande incendio d’Italia che sarebbe stato organizzato dal Caimano dopo la caduta del regime da lui instaurato, ecco che Berlusconi, molto amareggiato personalmente dalla persecuzione giudiziaria e mediatica, e dalle evidenti forzature internazionali ed europee manifestatesi nella ridarella di quel bel tomo di Sarkozy, compiva un primo gesto di responsabilità e abilità politica: acconsentiva, anche contro le turbolenze di noi poveri tifosi dell’autogoverno, alla formazione di un governo tecnocratico presieduto dal nuovo senatore a vita Mario Monti, e al suo programma d’emergenza di contrasto alla crisi da spread.

 

Nessuno è uscito dal proscenio di governo con tanto senso dello stato, come si direbbe nel bel mondo se fosse davvero bello, e con simile rispetto delle istituzioni, fino a piegare al loro funzionamento le regole auree dell’autogoverno nei sistemi maggioritari (il capo del governo è quello che ha preso più voti). Il gesto politico responsabile fu replicato, dopo l’implosione del governo Monti e una campagna elettorale selvaggia, che per un pelo Berlusconi non vinse: avendo il potere parlamentare di determinare il corso delle cose, il Cav. acconsentì, anzi propose, la rielezione di Napolitano al Quirinale e la formazione di un governo di larga coalizione, che poi solo l’inanità del suo capo (capo si fa per dire, si tratta di Enrico Letta), dopo la condanna Esposito dell’agosto 2013, trasformò in un governicchio impolitico imbottito di opportunisti ed esposto com’era ovvio alla cavalcata di Matteo Renzi. A quel punto Berlusconi, passato all’opposizione, abbraccia Renzi, ricambiato con il patto delle riforme, e contribuisce a creare un nuovo equilibrio stabile fondato sul rispetto reciproco tra concorrenti e non sull’odio teologico tra Arcinemici. Nell’opinione della maggioranza degli italiani, una specie di vox populi, Renzi è quel giovanotto brillante al quale forse lasceranno fare quel che non hanno consentito di fare a Berlusconi. Compresa una capacità di fronteggiare egemonismi di varia natura (poteri cosiddetti forti e tecnoburocrazie europee) senza però (linea Brunetta) impigliarsi in un rischiosissimo corpo a corpo con gli altri paesi partner e con il mondo intero, accusato per via paragiudiziaria di “complotto”.

 

[**Video_box_2**]Pensatela come volete, ma questa è una linea. Seria. Efficace da molti punti di vista. Che mantiene all’Italia rappresentata da Berlusconi, anche se con costi di consenso e di potenza demagogica, un posto eminente e saliente nel grande gioco istituzionale e del potere. Se ne accorgono i rinfocolatori della sinistra estrema e manettara, che odiano questo Berlusconi “artefice”, lo dannano, lo cancellano o lo dicono tutto impegnato a scambiare la propria immunità con la politica di responsabilità (fino alle considerazioni autocritiche di Mauro, secondo il titolo del sito). Perché i rinfocolatori di Forza Italia non lo capiscono e conducono lo stesso gioco a delegittimare la leadership di manettari ed estremisti? Si dirà che lo fanno in odio a Renzi, individuato a giusto titolo anche come un pericolo per la sua attrattiva tutta berlusconiana sull’elettorato moderato. Si dirà che lo fanno perché sentono frustrate esperienze personalmente vissute: Minzolini fu da retroscenista portavoce ufficioso di D’Alema e di altri pro tempore; Capezzone il cocco di Marco Pannella; Brunetta un politico socialista mai veramente promosso al rango che spetterebbe alla sua capacità di analista economico e di attivismo politico. Le loro opinioni, e anche la loro insultante inimicizia recente verso Denis Verdini, fiorentino di pelle e spietato teorizzatore e pratico del realismo politico, uno che sa e lo sa una volta per tutte come senza Berlusconi e la sua leadership non ci sia spazio alcuno, almeno oggi, per una destra sensata, sono, come ripetiamo, legittime in qualunque modo le si spieghi. Ma darne una spiegazione è utile, più che a capir le loro mattane, a intendere che cosa veramente ha realizzato negli ultimi decisivi tre anni quel Caimano responsabile di Berlusconi.

 

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.