L'America è ancora il gendarme del mondo, si chiama dollaro

Leonardo Bellodi

Cosa insegna la mega multa a Bnp Paribas comminata dagli Usa per violazione dell’embargo sulle sanzioni.

    Roma. Lunedì 30 giugno, una delle più grandi banche francesi, Bnp Paribas, si è dichiarata colpevole di fronte a un tribunale di New York per aver violato l’embargo decretato dagli Stati Uniti nei confronti di Iran, Sudan e Cuba. Bnp dovrà versare all’Amministrazione americana poco meno di 9 miliardi di dollari a cui si aggiungono 150 milioni di dollari di spese processuali, sospendere tutte le operazioni in dollari per un anno nel settore dell’energia, costituire un ufficio a New York, sotto tutela e controllo delle autorità finanziarie Usa, che vagli tutte le transazioni in dollari effettuate dalle filiali della banca in tutto il mondo, nonché licenziare un certo numero di alti dirigenti che hanno autorizzato le operazioni illegittime.

     

    Pur essendo la più alta ammenda mai pagata nella storia, Bnp è in buona compagnia: negli ultimi cinque anni Barclays, Abn Amro, Llyods Banking, Clearstream, Ing, Standard Chartered, Hsbc e Credit Suisse hanno pagato complessivamente quasi sei miliardi di dollari per lo stesso tipo di violazioni, pur non ammettendo alcuna colpevolezza. E potrebbe non essere finita: in questo momento le autorità americane stanno guardando da molto vicino alcune operazioni sospette di banche inglesi, francesi, svizzere, belghe, americane e anche di un’italiana. Al di là delle sanzioni pesantissime, il pericolo è che i manager delle società coinvolte siano inseriti nella “border watch” e fermati quando andranno negli Stati Uniti per essere interrogati. Tutte le società e persone fisiche, poi, temono di essere identificati come Sdn, Special designated national. Se succedesse, non potrebbero avere  più rapporti con il sistema finanziario americano, il che equivarrebbe a una sentenza di morte economica.

     

    La cosa singolare è che le operazioni effettuate da Bnp Paribas, banca francese soggetta alle norme francesi e dell’Unione europea, sono perfettamente legittime secondo le leggi francesi e comunitarie. Ed è la ragione per la quale il ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, ha gridato allo scandalo denunciando l’applicazione extraterritoriale delle norme americane e l’utilizzo di sanzioni finanziare non già per proteggere i consumatori da eventuali abusi e frodi bancarie, ma per finalità di carattere geopolitico.

     

    Gli Stati Uniti sono ben consapevoli che Bnp è una banca europea ma si dichiarano competenti ad applicare le proprie norme dal momento che le transazioni sono fatte in dollari. E quando si fa una transazione nella divisa americana, questa a un certo momento passa per New York. Ciò è vero sia per le mega transazioni sia quando, con Western Union, un residente a Londra manda cento dollari al proprio cugino che si trova a Tripoli.

     

    Difficile, o per meglio dire impossibile, per una società non avere contatti con la giurisdizione americana: più dell’80 per cento del commercio mondiale, circa il 90 per cento degli scambi finanziari e la quasi totalità delle transazioni nel settore dell’energia sono effettuati in dollari.

     

    Il dollaro, insomma, è ancora la moneta di riferimento a livello mondiale e attraverso di essa gli Stati Uniti esercitano un potere enorme potendo, come la vicenda Bnp insegna, attrarre nella propria giurisdizione e mettere sotto proprio controllo e tutela società le cui sede legali ed operative non sono certo negli Stati Uniti. Non vi è nessuna costrizione legale che obbliga le società a utilizzare il dollaro nelle proprie operazioni ma, nondimeno, il dollaro continuerà per lungo tempo a essere la moneta di riferimento per tutto ciò che gli Stati Uniti rappresentano: un’economia che funziona e che ha dato prova di risollevarsi dalle più gravi crisi, un modello culturale e accademico che forma le élite politiche ed economiche di molti paesi, una potenza militare impiegata, a torto o a ragione, in quasi tutte le aree di crisi del mondo che nessuno, in questo momento, è capace neanche lontanamente di eguagliare.

     

    Dalla vicenda Bnp si possono trarre due insegnamenti. Il primo è ben sintetizzato da quanto detto a un funzionario della potente Ofac, l’Office of Foreign Assets Control, la divisione del dipartimento del Tesoro americano che si occupa per l’appunto delle sanzioni finanziarie e la lotta al terrorismo. Sarebbe molto utile se chi ha ruoli di responsabilità nelle società oltre a interessarsi  alla sezione economica-finanziaria dei giornali legga con molta attenzione la parte di politica internazionale. Se l’avessero fatto i dirigenti di Paribas avrebbero senz’altro notato che il governo del Sudan oltre a essersi macchiato di orrendi crimini di natura etnica ha per un certo periodo ospitato il signor Osama bin Laden. Non c’è dunque da stupirsi se le autorità americane guardano con molta attenzione e molta poca simpatia le transazioni finanziarie, per di più in dollari, effettuate con questo paese. Se questo esercizio è assai utile, altrettanto inutile, ed è il secondo insegnamento, è rivolgersi a Bruxelles per ottenere protezioni. Se negli anni 80 e 90, l’Europa si è duramente opposta alle sanzioni economiche americane contro la Libia, la Russia, Cuba e l’Iran, oggi tace con la conseguenza che nulla ha detto a proposito della sanzione comminata a Bnp Paribas, malgrado il fatto che i comportamenti censurati dagli Stati Uniti fossero legittimi per la legislazione europea. Per essere credibile ed efficace nell’ambito della comunità internazionale, l’Europa ha ancora molta strada da fare.