Matteo Renzi (foto LaPresse)

Renzi, il servo encomio e il codardo oltraggio

Giuliano Ferrara

Siamo primi nel mondo in due specialità sportive non invidiabili, apparentemente opposte eppure intimamente unite da uno stesso fluido di inferiorità psicologica: il servo encomio e il codardo oltraggio. Con l’ascesa di Renzi il fenomeno si riproduce puntualmente.

Siamo primi nel mondo in due specialità sportive non invidiabili, apparentemente opposte eppure intimamente unite da uno stesso fluido di inferiorità psicologica: il servo encomio e il codardo oltraggio. Con l’ascesa di Renzi il fenomeno si riproduce puntualmente, molti hanno ricominciato a giocare. Ma il servo encomio ha una natura di sport generale, appartiene all’essenza delle relazioni umane con il potere, ed è sempre unanimemente censurato con toni politicamente impeccabili, moraleggianti. Nessuno mai si sottrae al dovere sociale di dannare chi si piega al potere pro tempore, la moda obbligata è il contropotere, dire male di chi governa e sfrondare gli allori dallo scettro dei regnatori, che poi sono invariabilmente i partiti, il governo, le istituzioni. Se poi si goda di una callida posizione di potere reale, annidati nell’eterna riproduzione dei riti della società civile, se si abbia dalla propria parte la forza dell’opinione, dei media, dei poteri neutri e parrucconi, compresi i malacarne della rete o web, allora la retorica del contropotere si fa frivolezza grave, gioco astuto e disinvolto, una solenne buggeratura per chi assista allo spettacolo, per chi crede che davvero è in atto uno scontro tra la voce dei senza potere e la cappa di piombo del sistema di governo, che infiniti lutti addusse al popolo.

 

Renzi può non piacere, piacere fino a un certo punto, sollevare giuste riserve, è esposto alla sacralità della satira, è l’oggetto naturale di un’attenzione maliziosa. Ma una cosa è sicura: dovrebbe indurre a una sospensione del giudizio che si ritiene importante e autorevole, dovrebbe indurre a ragionamenti semplici e di senso comune, che non sono encomio né servaggio, ma banale senso dello stato, della nazione, della politica. L’uomo comune italiano, da sempre estraneo alle sofisticazioni di poteri e contropoteri, ragiona così: è uno tosto, ha coraggio, fa un uso accorto e qualche volta furbastro della giovinezza, ha rotto gli schemi di una sinistra infelice e incapace, con i suoi competitori della destra ha un rapporto sano, vuole emulare il meglio che è in loro e sconfiggere quanto hanno di alternativo alla sua visione del paese, viene da una tradizione moderata, cattolica, e risente dell’influenza travolgente del berlusconismo, della comunicazione e informazione televisiva, dell’uso non legnoso della lingua in politica, di una cultura non imbacuccata nell’omaggio alle vecchie ideologie, per quanto ormai da tutti dissimulato in altro.   L’uomo comune sente un’occasione. Niente di più. Forse – pensa – si risolverà tutto in un nuovo disastro o in una amara delusione, ma provarci è necessario, visto lo stato del paese e della sua classe dirigente degli ultimi cinquant’anni.

 

Invece il paese pullula di istinti all’oltraggio, si sente nell’aria la voglia di fallimento, la voglia di un nuovo giro di giostra alla fine del quale torna la paralisi, poteri e gruppi di interesse consolidati riprendono quota, si normalizza tutto l’anomalo che un Renzi oggi, come un Berlusconi ieri, porta con sé. Al giro del bel mondo intellettuale e dei salotti Renzi non può piacere, l’albagia è costitutiva del suo essere sociale. La stampa e la tv fanno i conti con la dura realtà del consenso democratico, del 40 per cento, dell’insediamento clamoroso di un non ancora quarantenne a Palazzo Chigi, e si diffonde una certa provvisoria ruffianaggine, per pararsi dai colpi di fortuna, per ottenere qualche vantaggio, eppure una sobria sospensione di giudizio, un’attesa con anticipo di simpatia, senza eccessi, con la capacità sorvegliata di aspettare, valutare e vedere è fuori dalla portata di un establishment in perpetua modalità rivoltosa, mascheratura di schietta propensione conservatrice e di infinita pigrizia morale.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.