Virtuosi all'assalto
Il cappio dei paesi nordici sui Bond statali. Allarme a Roma
Wsj: Basilea III più dura per le banche piene di Bot. L’incognita assicurazioni.
Roma. “Le banche fronteggiano nuove regole sul rischio”, era il titolo di prima pagina del Wall Street Journal di ieri. Non entrerà nella hit parade dei titoli più accattivanti di sempre, ma le indiscrezioni raccolte dal quotidiano finanziario statunitense sul processo di regolamentazione degli istituti di credito mondiali sono di quelle che fanno sobbalzare sulla sedia operatori e addetti ai lavori. A Basilea, città svizzera dove le nuove norme globali sono in gestazione, secondo il Wsj si starebbe valutando di “ridurre la libertà delle banche di misurare la rischiosità dei propri asset”. In particolare avanza di nuovo il partito di quanti non intendono considerare i titoli di stato nei portafogli bancari come “risk free”, cioè per definizione senza rischio. Tempo fa era stata la Bundesbank a sollevare il problema: davvero è “risk free” un titolo di stato greco, cioè di un paese che ha fatto default, o italiano o spagnolo? Se è vero che anche gli stati possono fallire, “no” è la risposta dei rigoristi tedeschi. Al punto che alcune Banche centrali, come quella belga, avrebbero già chiesto alle banche nazionali di penalizzare certi titoli di stato in portafoglio. Attribuire un rischio a tali asset disincentiva ulteriori acquisti di bond. Inoltre vuol dire costringere gli istituti con bilanci pieni di titoli a rafforzare ancora il proprio capitale: dovranno così attirare nuovi investitori e in alcuni casi potrebbero restringere a breve il credito all’economia reale. Con la periferia dell’Eurozona sull’orlo della deflazione, una scelta in tal senso del Comitato di Basilea non sarebbe un toccasana. Anzi.
Soprattutto perché, secondo la ricostruzione del Foglio, in queste settimane una battaglia regolatoria simile si sta svolgendo anche per il settore delle assicurazioni. Per circa 10 anni, infatti, si è discusso su come aggiornare la regolamentazione prudenziale delle assicurazioni europee. Il risultato, cioè il corrispettivo di quello che per le banche è “Basilea III”, si chiama “Solvency II” ed entrerà in vigore nel 2016 per la parte relativa ai requisiti patrimoniali dei gruppi del settore. Le società potranno calcolare i requisiti di capitale in base a due formule: quella standard uguale per tutti, oppure in base a “modelli interni” di gestione del rischio che siano altrettanto rigorosi. Considerato che le società d’assicurazione hanno investito in titoli di stato, specialmente durante la crisi (quelle italiane sono le più esposte d’Europa), la questione della rischiosità dei bond statali si è posta anche qui. Sul modello standard per calcolare gli accantonamenti dal 2016, l’ha spuntata per ora il partito di quanti ritengono a “rischio zero” i bond statali. Adesso però le autorità regolatorie dei paesi del nord Europa, dicono fonti europee al Foglio, starebbero tornando all’assalto in sede di Eiopa (l’Autorità europea di vigilanza su assicurazioni e fondi pensione) per far sì che i gruppi assicurativi, almeno nei modelli interni, possano attribuire un rischio diverso da “zero” a certi titoli di stato. La decisione dell’Eiopa sui criteri da adottare sarebbe imminente.
Ipotesi di eurocrac. Diplomazia cercasi
Cosa cambierebbe per l’Italia se colossi tedeschi come Allianz e Munich Re fossero costretti dall’Autorità regolatoria tedesca, la BaFin, a valutare come rischiosi i titoli di stato in portafoglio? Innanzitutto, spiegano gli analisti, se considerare “rischiosi” i titoli di stato divenisse un obbligo per tutti i modelli interni di valutazione, svanirebbe per i gruppi di alcuni paesi l’incentivo a usare tali modelli, d’un tratto diventati più stringenti del modello standard. Se non fosse obbligatorio, gli investitori sarebbero comunque spiazzati dalla mancata uniformità di approccio da paese a paese. Inoltre emergerebbe un “rischio stigma” per quei gruppi che si attenessero a criteri più blandi sui bond statali. Infine si dimostrerebbe che alcune autorità regolatorie non escludono il default di altri paesi dell’euro. Ennesimo vistoso paradosso di un’Unione monetaria senza sottostante politico e fiscale. Considerato che le compagnie assicurative italiane hanno investimenti in essere per 560 miliardi – come ha reso noto Salvatore Rossi nell’ultima relazione da presidente dell’Ivass – di cui 270 miliardi impegnati in titoli di stato, tra gli operatori italiani serpeggia un dubbio: è davvero saggio che nelle prossime settimane a decidere sia un’autorità regolatoria, per quanto prestigiosa, come l’Eiopa (dove l’Italia è rappresentata da Ivass per le assicurazioni e Covip per i fondi pensione)? O servirà forse che alla battaglia regolatoria si affianchi l’impegno politico-diplomatico di Roma?
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