Euroconsiglio di trincea
Cresce il partito europeo della flessibilità, ma i duri del rigore non arretrano
Il lavorìo di Padoan per ammorbidire i vincoli di bilancio, i giudizi futuri della Commissione, gli scettici nordici
La flessibilità in Europa adesso c’è, ma ancora non si vede. Ieri, alla fine della due giorni di incontri dei ministri dell’Economia prima dell’Eurozona e poi di tutta l’Unione europea, il ministro dell’Economia italiano, Pier Carlo Padoan, ha temporaneamente messo fine al dibattito-tormentone sul maggiore pragmatismo che Roma invoca da Bruxelles nell’applicazione dei vincoli alle finanze pubbliche dei paesi membri: “Abbiamo un sistema di regole che consente la flessibilità – ha detto Padoan al termine della riunione con i suoi omologhi – E ora cominciamo le discussioni per capire cosa questo significa”. La prima metà della frase è il precipitato positivo di un contenzioso politico-diplomatico che l’esecutivo di Roma ha ingaggiato da settimane a Bruxelles e soprattutto a Berlino, forte anche dell’affermazione elettorale di Matteo Renzi alle europee. Nel Patto di stabilità e crescita, con tutti i suoi derivati utili a imbrigliare deficit e debito pubblici, ci sono i margini per “fare il miglior uso della flessibilità consentita”, come recita il comunicato finale di ieri e anche quello del vertice dei leader Ue di fine giugno. Perciò il Consiglio Ue “sostiene gli obiettivi della presidenza italiana del semestre Ue per aumentare la crescita e i posti di lavoro” con riforme strutturali, approfondimento del mercato interno e investimenti. La seconda metà della dichiarazione di Padoan (“ora cominciano le discussioni per capire cosa questo significa”) svela quanto, soprattutto in Italia, negli ultimi giorni ci si fosse spinti troppo in là con certe fantasie lassiste sulla spesa pubblica. Perché le riforme strutturali, recita lo stesso comunicato di ieri, dovranno pur sempre “migliorare la sostenibilità fiscale” dei bilanci dei paesi membri; e perché le regole su deficit, debito e necessaria riduzione sulla carta restano immutate. La flessibilità dunque c’è, ma ancora non si vede. Per arrivare a vederla, ha aggiunto Padoan, “le discussioni saranno molto tecniche”.
Così ieri perfino il presidente del Consiglio Renzi, che da Venezia aveva detto che “ogni singolo euro investito nelle infrastrutture digitali dev’essere tenuto fuori dal computo del deficit”, dopo due ore è stato smentito dalla Commissione Ue: “Nessuna spesa può essere esclusa dal deficit”. E Padoan subito a chiosare con diplomazia: nel governo c’è pieno accordo sul fatto che la crescita si persegue all’interno delle regole esistenti. Lo stesso Padoan che negli scorsi giorni aveva letto con malcelato fastidio le uscite di ministri e analisti che già si spingevano a contabilizzare lo “sconto” dell’Europa sull’austerity: 10 miliardi di euro di spesa pubblica in più all’anno, aveva detto il sottosegretario Delrio, proponendo pure gli Eurobond; 7 miliardi, per la Confindustria; massimo 3 miliardi, per l’economista Tito Boeri.
[**Video_box_2**]L’offensiva su banche, assicurazioni e Bce
Sono cifre scritte sull’acqua. Infatti da qui ai prossimi mesi, arrivato l’input politico dei governi pro flessibilità, di volta in volta starà ai tecnocrati della Commissione valutare avanzamento e ampiezza delle riforme dei paesi membri, e sempre a loro spetterà modulare i ritmi del risanamento fiscale. A Via XX Settembre però c’è la consapevolezza che per un “partito della flessibilità” che rialza la testa, c’è sempre un “partito dell’inflessibilità” che rema con forza simile ma nella direzione opposta. Così ieri, per esempio, lo stesso Consiglio Ue ha chiesto all’Italia di “rafforzare le misure di bilancio per il 2014”. E’ la minaccia perenne di una manovra correttiva a ottobre. E per un Jean-Claude Juncker (candidato alla guida della Commissione) che apre alla “flessibilità” – altro segno che il partito dei pragmatici s’allarga, non è più solo mediterraneo – c’è un ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, che dice di non accettare “scappatoie” dalle riforme. In compagnia dei colleghi di Austria e Svezia. Riforme italiane di cui attendiamo i “risultati”, ha rilanciato il ministro olandese e presidente dell’Eurogruppo, Dijsselbloem. Nel partito degli inflessibili milita pure la Bundesbank, di cui non a caso ieri Padoan ha detto: “Non fa parte del governo tedesco”. Magra consolazione, perché la battaglia rigorista continua anche su altri fronti, non meno delicati del Patto di stabilità. Bundesbank e BaFin tedesche, per esempio, insistono per attribuire un “rischio” ai titoli di stato nel portafoglio di banche e assicurazioni, misura che penalizzerebbe soprattutto gli operatori italiani. Poi ci sono le pressioni continue, provenienti perfino da organi giurisdizionali, sulla Banca centrale europea di Mario Draghi. La flessibilità ora c’è. Per vederla all’opera bisognerà attendere.
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