Gay & recchie
Lettera a Ipazio-Feltri sulle nozze omo, sulle infinite sfumatore dell’eros e sui contrattempi della musicologia.
Carissimo Giuliano, l’altro ieri uscì sul Giornale un bell’articolo di Vittorio Feltri il quale incidentalmente mi chiamava in causa. Ho parlato con Vittorio, il quale è uno dei miei amici del cuore di una vita, e gli ho espresso alcune precisazioni sul punto; e gli ho annunciato che gliele avrei inviate affinché la testata le pubblicasse: il che ho fatto. Vittorio le ha inoltrate ma non sono uscite e in ciò il direttore Sallusti ha abdicato alla sua abituale cortesia non facendomi nemmeno una telefonata. Approfitto allora della Tua cortesia, che comunque è imparerggiabile, per chiederTi di ospitare qui di seguito a questo breve prodromo l’intervento in questione. Ti ringrazio e Ti abbraccio.
Paolino
Carissimo Vittorio, leggo il tuo bell’articolo odierno dedicato al matrimonio dei ricchioni e di quei disgraziati che si denominano gays, ossia dei ricchioni piccolo-borghesi che cercano una consacrazione sociale e religiosa. L’articolo mi è molto piaciuto per la tesi che sostiene, ossia: “Vogliono sposarsi? Poveri loro, ma perché no?”. Tale tesi, che condivido, esprime il meraviglioso distacco al quale sei giunto negli ultimi tempi e che a me piace tanto: onde ti chiamerò d’ora in poi Ipazio, dal nome della vergine alessandrina, filosofa, astronoma e matematica, assassinata crudelmente dai fanatici cristiani sotto Teodosio perché sosteneva i valori della tolleranza; però desidero tu sia un Ipazio vivo giacché dobbiamo avere la gioja d’invecchiare insieme.
Tanto premesso, vorrai ospitare queste osservazioni. Tu mi metti tra i tuoi pochi amici e mi attribuisci la qualità di gay. Il fatto di essere tra i tuoi pochi amici mi fa tanto piacere che accetterei persino la qualifica di pedofilo. Però le cose non sono così semplici. Io ho avuto per tutta la vita anche rapporti omosessuali; ma caratterizzati dal fatto che questo tipo di eros lo concepisco come lo sfogo degl’istinti più violenti e profondi; e quindi come fondamentalmente carnale. Tanto ciò vero che questi rapporti, sin da quando ero adolescente, li avevo a pagamento, perché uno degli elementi d’eccitazione era il fatto di non conoscere il soggetto col quale m’incontravo e di non dover cercare di piacergli; anzi, l’idea di fare l’amore con qualcuno che ti odiasse: sai, le forme che l’eros assume sono davvero infinite, ma la mia non è isolata né minoritaria. Credo che ciò, che sta passando di moda, sia incompatibile collo stesso status, come dire antropologico, del gay il quale ricerca l’affetto e la condivisione dei sentimenti dal suo compagno, occasionale o, sempre più, ahimé, istituzionale.
In quanto cattolico, se sono d’accordo con te a concedere ai gays il matrimonio civile, non posso accettare sia loro accordato un sacramento che Cristo ha previsto secondo forme immodificabili di fronte all’eternità.
Coll’occasione mi permetterai di spaccare il capello in quattro. Mi definisci musicologo; io mi qualifico storico della musica giacché la musicologia, diceva il Maestro Guido Pannain, non so che cosa sia. E mi permetterai di raccontare quanto segue. A diciassette anni san Gennaro mi fece capire che non avevo le qualità per fare il direttore d’orchestra, il mio sogno; e mi rivolsi verso qualcuno che mi facesse da maestro nella musicologia, la mia attività di ripiego: e allora non sapevo ancora che la musicologia non esiste, etc. Tuttavia ne avrei ricavato di che vivere per tutta la vita. Mi mandarono da un musicologo padovano residente a Parma, inutile a dirsi intellettuale organico del Pci. Questo accettò di farmi da maestro e, a titolo introduttivo, voleva introdurmi qualcosa in culo. Adesso sono un modesto critico musicale e storico della musica. Ti abbraccio.
Il Foglio sportivo - in corpore sano