Perché la Germania avrebbe dovuto farne 8 alle fighette brasiliane
Rendere onore ai tedeschi è un gesto estremo, ma in questo dolce scorrere di lacrime verdeoro non posso esimermi. Bravi, questi tedeschi.
Rendere onore ai tedeschi è un gesto estremo che devo compiere dimenticando di avere letto “Berlino Barbara” del nostro Chesterton, ma in questo dolce scorrere di lacrime verdeoro non posso esimermi. Bravi, questi tedeschi. Bene hanno fatto, i feroci tedeschi, a ficcare sette pere alle fighette brasiliane. Almeno ci hanno risparmiato fiumi di retorica brasileira da qui a domenica (ma non le due palle così sulla programmazione seria del calcio in Germania, né le descrizioni della sconfitta come analogia del crollo di un popolo e di una nazione, né gli articoli piagnoni sulle lacrime sotto la pioggia di Belo Horizonte). Nel merito calcistico non vale la pena entrare, ma sull’atteggiamento in campo bisogna dire la verità: la Germania ha dato la più grande lezione di fair play della storia calcistica recente. Trattasi di vero fair play, non di quella brodaglia zuccherosa che piace a Blatter, ai seguaci del codice etico e ai mangiatori di banane d’occasione.
A chi parla di umiliazione e poco fair play rispondo alzando le spalle, il gomito e un argomento inoppugnabile: il calcio non è opera di bene né esercizio di carità. E’ sport, dunque vita, competizione, record e storia che si scrivono. Volevate mica che i ragazzoni di Löw, a un passo dall’essere ricordati per sempre accanto a Ghiggia e gli eroi dell’Uruguay del 1950 si fermassero perché non è bello infierire sull’avversario? Bravi, bravissimi tutti, tranne quella pippa di Özil, che non ha avuto il coraggio di affondare il colpo, sbagliando il facile facile tocco dell’8-0. Da dieci minuti almeno i suoi compagni stavano giocando con l’unico scopo di farlo segnare, come quando si organizza una partita di calcetto in onore di un amico laureato, o in partenza, e si fa di tutto per fargli segnare almeno un gol, anche se lui ha i piedi di Fred e la panza di Ronaldo oggi. Niente da fare, Özil non ha messo la dovuta cattiveria, la grinta necessaria per infierire come i suoi compagni sulla bestia ferita a morte. Bocciato.
Non hanno mai smesso di giocare, i tedeschi, ma senza irridere. Fossero stati gli spagnoli, sul 3-0 avremmo cominciato a vedere veroniche, rabone, tacchi e tunnel, palloni sudamericanamente portati dalla parte della bandierina del calcio d’angolo, numeri idioti, gol da metà campo, insomma tutto il repertorio di gesti che chiamano l’entrata a gamba tesa sul ginocchio. Hanno continuato a giocare senza trasformarsi in bambini di terza elementare. Hanno giocato fino alla fine come se il risultato fosse fermo sull’1-0, frustrando gli unici minuti di lucidità dei brasiliani all’inizio del secondo tempo, là dove Neuer ha parato con la tranquillità dell’uomo che fa benzina al self service qualunque tentativo avversario. La Germania è tutta nel suo sguardo scoglionato al 91’, dopo il gol di Oscar. “Ma che cazzo fate?”, diceva la sua smorfia. Eppure la partita era come la mia bottiglia di brandy, quasi finita, e il risultato sullo storico 7-1. Che poi, a pensarci bene, quell’1 fa ancora più rabbia. E’ come se stesse lì a ricordare: “Vedi che, se volevi, gol me lo potevi fare?”. Così hanno reso onore a un Brasile suonato come un cronista della Rai. Perdere dignitosamente è facile, almeno se non sei Prandelli, stravincere dignitosamente è molto più difficile.
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