Gli “asini verde oro” che temono di trovare in freezer un altro gol di Klose
Visto? Non è un paese di cuorcontenti, tutto samba, spiaggia e capirinha ghiacciata. La tristezza sgomenta di un popolo intero in mondovisione toglie finalmente al Brasile for export quell’aria sciocchina da bionda scema.
Visto? Non è un paese di cuorcontenti, tutto samba, spiaggia e capirinha ghiacciata. La tristezza sgomenta di un popolo intero in mondovisione toglie finalmente al Brasile for export quell’aria sciocchina da bionda scema. Troppo carina, troppo maliziosa, troppo ancheggiante per essere presa sul serio. La nazione non se la merita, è molto altro e molto meglio. Il Brasile tristissimo che piange e non se la prende con l’arbitro, il tifoso inginocchiato che prega, David Luiz con gli occhi rossi che chiede perdono e dice “sono più bravi di noi”, sono la prova di quanto poco da ridere ci sia sulla cultura brasiliana del sorriso.
Il Brasile del giorno dopo il Maracanazo più brutto della sua storia è un paese addolorato, giovane e vivo, che tra i suoi molti problemi non ha quello della repressione delle emozioni. Piange e si commuove senza teatro e senza vergogna. Con la stessa naturalezza con cui balla, fa sesso e cammina. Il Brasile non nasconde, esprime, condivide e mostra quanta profonda vitalità ci sia in quel modo solo suo di danzare lanciando vorticosamente i fianchi verso un corpo immaginario. Pittoresco, forse. Di sicuro, il contrario della depressione.
C’è molto da imparare dallo spettacolo poetico della tristezza brasiliana. Ducecento milioni di persone arrabbiate, deluse, entusiasti cronici improvvisamente disillusi, stanno celebrando un dolore collettivo in un paese grande come un continente, con sacche di miseria gigantesche e alcune ragioni per infuriarsi, piangendo molto, senza odio, senza orrori e (per ora) senza scatenare una guerra. Provateci a Berlino.
[**Video_box_2**]Diogo Mainardi, meravigliosa firma del giornalismo brasiliano, prevedeva in un articolo scritto l’anno scorso per il Corriere della sera: “Il 2014 sarà l’anno della riscoperta del Brasile. Cronisti provenienti dai luoghi più improbabili attraverseranno l’oceano e per sei mesi, precisamente fino alla fine dei Mondiali, il 13 di luglio, tempesteranno i loro disinteressati e disinformati connazionali con i loro disinteressanti e disinformati resoconti sul paese. Si raccomanda a tutti loro di rinunciare subito a qualsiasi tentativo di originalità e di plagiare senza il minimo pudore il più feroce dei nostri umoristi, Ivan Lessa, che ha saputo riassumere l’essenza della nostra specie in una sola frase: abbiamo i piedi per terra e le mani anche. Se Ivan Lessa, l’Apuleio nostrano, si è contraddistinto per la capacità di svelare la nostra natura quadrupede – gli asini verde oro – lo storico Paulo Prado, molto prima di lui, dev’essere ricordato per un’impresa ugualmente meritoria: lui ha diagnosticato la nostra psiche patologicamente malinconica. Il suo ‘Ritratto del Brasile’, sottotitolato ‘Saggio sulla tristezza brasiliana’ del 1926, è ancora oggi una guida insuperabile per orientare gli osservatori meno avvezzi alle questioni nazionali. L’incipit non lascia dubbi: ‘In una terra radiosa vive un popolo triste’”.
Certo, è dura. Perdere è brutto, ma perdere sette a uno nei Mondiali fatti in casa e un’altra cosa. Per di più, con il rimorso di aver messo sulle spalle di Neymar – un fuoriclasse, ma un ragazzino di 22 anni – il sogno di trionfo di un paese intero. Lo scrupolo di avergli fatto male, con tanta pressione. Pare che martedì pomeriggio, prima della partita, Neymar avesse l’aspetto sollevato, nonostate la vertebra rotta. S’è portato in spalla 200 milioni di persone per tre settimane, fino ai quarti di finale, troppo per chiunque.
E ora? Finito male il Carnevale fuori stagione, finisce anche la tregua? Le favelas tenute buone con l’esercito, magari si ribellano? La rabbia sociale silenziata con l’occupazione militare esplode? Per adesso sembrano tutti storditi dalla sorpresa, qualcuno riesce a riderci su. Racconta chi c’era che durante l’intervallo allo stadio di Belo Horizonte martedì, tra gli spettatori dipinti verde oro, più increduli che disperati, un tifoso se ne è uscito così: “Ho paura di aprire il freezer di casa e trovarci dentro un altro gol dei tedeschi”.
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