Il bucato

Giuliano Ferrara

Pratica antica e forma eidetica postmoderna, anche tecnologica, grande risorsa contro la nevrosi.

Il bucato è la grande risorsa contro la nevrosi, andrebbe consigliato a chiunque sia affetto da dipendenze ossessive, e il bucato tecnologico è ordine, lusso, calma e voluttà. Il bucato che ho fatto ieri 9 luglio ad Albinia, tra mezzogiorno e l’una, nella lavanderia automatica [email protected], è una notizia pacifica ma per me esplosiva. Sono diminuiti in modo consistente gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali (rapporto Inail 2014), parroci coraggiosi spiegano all’Ong chiesacattolica.com che senza agganciare i criminali non è facile proteggere l’ovile dai lupi, la vita tragica è dura per gli assassini del ragazzo palestinese (nelle mani della giustizia israeliana) e per il regime assassino di Hamas a Gaza (a piede libero ma colpito dal cielo e forse da terra), in Italia si protesta contro la “fretta” (avete letto bene: la fretta) con cui si procede alla riforma del bicameralismo perfetto, in Brasile una partita di calcio e un crollo nervoso di undici ragazzi diventano psicodramma nazionale, va bene, va male, ma il mio bucato è più importante, non è solo una gioia della villeggiatura, è molto di più.

 

Dietro la Coop della vecchia Albinia, insediamento rurale degli anni Trenta sorto all’incrocio tra il tombolo della Giannella e l’entroterra maremmano, tra la via Aurelia e la strada statale 74 a dieci chilometri da Orbetello, sorge Albinia la nuova. Un architetto di talento di cui non so il nome ha disegnato con mano elegante e realizzato un piccolo, fresco, ombroso, verde e significativo villaggio di case pastello a due piani, garbate e dotate di infrastrutture logistiche, portici, collegamenti ordinati, una piazza vagamente messicana con tabaccaio e bar Kingston. Nella piazza sotto un loggiato, inondata di luce, sta la lavanderia eco-fresh, dotata di un perfetto impianto al neon per la sera e per l’inverno, aperta tutti i santi giorni che Dio manda in terra dalle 7 alle 22, tre lavatrici da 8 chili e una da sedici più tre asciugatori di ultimissima generazione, pareti in tinta con i grigiorosa, gli arancione e il celeste e bianco del villaggio, piante grasse ornamentali, un’idea di pulito che si sposa con l’idea di bucato (perché il bucato è pratica antica e forma eidetica postmoderna), quadri qualsiasi ma non sgradevoli bene appesi ai muri (fiori acrilici, un ciclo di congiunzioni sferico-astronomiche anch’esso acrilico), istruzioni per l’uso chiare attaccate alle lavatrici e agli asciugatoi e diffuse per gli avvisi extra-ordinari in basso parete, un divieto assoluto e molto maremmano di mettere a lavare gli stivali effigiato con una specie di simbolo da codice stradale appiccicato agli oblò delle macchine, una sputagettoni perfettamente funzionante, uno sputadetersivi ricco di offerte diverse e anch’esso scattante (c’è anche l’ammorbidente, ma a me sembra un ritrovato stupido come le botteghe di estetica in paese e la raccolta differenziata, anch’esse ahimè in crescita sulla scala nazionale del controllo domestico-statale e della vanità civilizzatrice), un cestino indifferenziato per i rifiuti, pulito e color caramello, un set di contenitori dei panni di perfetto design plastico in assetto carta da zucchero, più un serbatoio trasparente, un rotolo di carta scottex a buon bisogno col suo apposito srotolatore, sedie per l’attesa, tavoli per la distensione e piegatura del bucato appena fatto.

 

Recarsi da eco-fresh con una quantità di mutande, di magliette bianche t-shirt e maglie a colori in cotone pesante con le maniche lunghe, di calzini, di pantaloni da uomo e da donna, di corpetti, di lenzuola da casa e da barca multicolori, di felpe rosse, più un fazzoletto, vuol dire godersi per un’oretta e mezza, compresa pausa caffè e completamento della lettura dei giornali, la bella giornata di luglio, e la vita nonostante tutto. E capire che i momenti di felicità non sono mai trascurabili, anche quando si dissimulino per tali. L’asciugatura è il momento magico e finale, la purificazione ipnotica di ogni stato d’animo nerastro, di ogni sospetto sull’esistenza e la società, e persino dei dubbi che signorilmente si farà in modo di coltivare sulla propria anima. Nel grande oblò, a mano a mano che Eolo soffia a 60 gradi di calore l’energia risanatrice dell’umido che solum è sua, indumenti e biancheria prendono a rincorrersi in senso orario, pausa, in senso antiorario, e si gonfiano e si mescolano, e ruotano e vorticano felici di ritrovare equilibrio termico e natura originaria, e tu te ne stai lì pieno di pensieri svaniti, vuoto di preoccupazioni attuali, in preda a un deliquio visivo e mitico cui seguirà il piacere tattile, quando the end sarà scritto nei display che contano i minuti, del materiale ritrovato, altro che il tempo, e della sua nuova piegatura perché sia riposto in sacchetti e borse. Due giovani donne belle e benintenzionate, che sono state con me all’occasione, due clienti fresche della lavanderia, credo parenti del farmacista Homais, mi hanno un po’ rimproverato perché è meglio, dicevano, asciugare con il sole, e appendere con le belle mollette che pure avevo comprato previdente, perché così si risparmia energia sfruttando l’astro. Ho subito messo cinquanta centesimi in più, come supplemento di tempo asciugatore, e ho pensato che il bucato tecnologico è perfino più bello del sole.

 

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.